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H. G. WELLS - La macchina del tempo - Macchina

La Macchina del Tempo (1895) è uno dei romanzi più conosciuti dello scrittore britannico H. G. Wells. Nel passo riportato sotto, il protagonista del romanzo racconta il suo viaggio nel tempo e la conoscenza che questa straordinaria esperienza gli ha portato in dote. La voce narrante descrive con dovizia di particolari il processo evolutivo a cui è andata incontro la specie umana. In un futuro collocabile attorno all’anno 802 701, l’umanità si presenta differenziata in due razze distinte: gli Eloj e i Morlock. Mentre i primi vengono rappresentati come creature puerili e bambinesche che vivono pacificamente alla luce del sole, i secondi mostrano delle sembianze mostruose e un fenotipo stravolto e modellato da una vita condotta interamente nel sottosuolo. Per Wells e per il protagonista del suo romanzo, la risposta al perché si sia verificata una divaricazione così evidente nel processo evolutivo del Sapiens, tale addirittura da portare alla sua differenziazione in due razze distinte, deve essere ricercata proprio nel rapporto tra l’Umano e la Macchina. Il riferimento alle insane condizioni di vita dei lavoratori inglesi nelle fabbriche di inizio secolo è qui addirittura esplicitato. Condizioni che, solo sette anni più tardi, Jack London racconterà nel reportage Il Popolo dell’Abisso (1902) utilizzando le stesse identiche immagini del romanzo visionario di Wells.

Non so quanto tempo rimasi a spiare in fondo a quel pozzo; certo più di quanto mi ci volle per persuadermi che la Cosa che avevo visto apparteneva al genere umano. Gradatamente cominciavo a intuire la verità: la razza umana non era rimasta di un'unica specie, ma si era sviluppata sotto due forme ben distinte fra loro: quei graziosi fanciulli del mondo superiore non erano gli unici discendenti della nostra stirpe; anche quella bianca, repellente Cosa notturna fuggita davanti a me era l'erede dell'evoluzione dei tempi [….]. Eccovi dunque le mie nuove congetture. È chiaro che la seconda specie umana conduceva una vita sotterranea; tre circostanze in particolare mi spingevano a credere che le sue rare apparizioni alla superficie della terra fossero la conseguenza di una ormai lunga abitudine alla vita sotterranea: in primo luogo il colorito estremamente pallido, comune a molti animali che vivono quasi sempre al buio – i pesci bianchi delle grotte del Kentucky, per esempio; poi quegli occhi enormi che riflettevano la luce e che sono una caratteristica degli animali notturni come il gufo e il gatto; e infine l'evidente idiosincrasia alla luce del sole. Quelle fughe affrettate, quel correre barcollando verso l'ombra più fitta, quel caratteristico portamento della testa, tenuta bassa sotto la luce, confermavano la teoria di una retina estremamente sensibile.

Sotto i miei piedi la terra doveva essere percorsa da enormi gallerie: l'abitazione, appunto, della nuova razza. La presenza dei pozzi e dei piloni di ventilazione lungo i fianchi delle colline – e ne sorgevano da per tutto, tranne lungo la vallata del fiume – dimostrava che le ramificazioni delle gallerie si stendevano in tutti i sensi. Era assai logico, quindi, pensare che tutto quanto occorreva alla facile vita degli esseri che vivevano alla luce del sole fosse preparato in quel mondo inferiore e artificiale. Questa idea mi pareva talmente plausibile, che la accettai senza pensarci due volte, e cercai di spiegarmi in maniera verosimile la scissione della razza umana. Suppongo che immaginiate già di che teoria si tratta, sebbene, per quel che mi riguarda, compresi ben presto che essa non era affatto sufficiente a spiegare l'intera verità.

Basandomi sui problemi propri alla nostra epoca, sulle prime mi parve chiaro come la luce del sole che l'estendersi dell'attuale divergenza di opinioni tra capitalisti e lavoratori, divergenze di carattere puramente temporaneo e sociale, era la chiave di tutta la faccenda. Senza dubbio, la cosa vi sembrerà grottesca e addirittura incredibile; eppure, anche ai nostri giorni esistono circostanze che avvalorano questo modo di pensare. Possiamo notare anche oggi una tendenza a utilizzare lo spazio sotterraneo per gli scopi meno ornamentali della civilizzazione. Guardate per esempio, a Londra, la ferrovia metropolitana, le linee ferroviarie elettriche create da poco, i sottopassaggi, i laboratori e i ristoranti sotterranei che si vanno moltiplicando sempre più in fretta. Evidentemente, pensavo, questa tendenza si era sviluppata in maniera tale da togliere a ogni ramo dell'industria il diritto di vivere alla luce del giorno; talché essa si era sprofondata nel sottosuolo con tutte le sue fabbriche, restandovi sempre più a lungo, fino a prendervi stabile dimora. E anche adesso un operaio dei sobborghi non vive forse in condizioni altrettanto artificiali, tagliato praticamente fuori dalla superficie della terra?

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