Questo racconto dello scrittore americano Fredric Brown venne presentato per la prima volta all’interno dell’antologia di racconti di fantascienza dal titolo Isaac Asimov Presents the Great SF Stories 16 (1954). Data la sua brevità, le considerazioni non possono che partire dal titolo: La Risposta. E questo perché, al di là del paradosso, è invece di domande che ci parla il racconto browniano; ovvero della necessità tutta umana di dare forma all’ignoto, illuminandolo alla fioca luce dell’intelletto. Tuttavia, come in ogni mito della Creazione che si rispetti – e quella raccontata da Brown è in definitiva una vera e propria "Teogonia Intergalattica" – la hybris del creatore spesso finisce per determinare la sua stessa caduta.
E in una caduta si trasforma l’impresa dei due protagonisti del racconto, ossia la costruzione di un supercalcolatore in grado di svelare addirittura il senso stesso dell’Esistenza. A costruzione ultimata l’uomo azionerà la leva, il quadro dei comandi emetterà i suoi impulsi luminosi e la domanda delle domande verrà pronunciata; ma la risposta del Calcolatore finirà per tradire le attese dei suoi creatori e sovvertirà per sempre l’ordine galattico costituito. È questa, in estrema sintesi, l’intuizione espressa in modo fulminante nel racconto di Brown: il rischio che la realizzazione da parte dell’uomo di macchine sempre più potenti e intelligenti possa condannarlo irrimediabilmente ad una esistenza di subalternità rispetto ai frutti stessi del suo ingegno.
Con gesti lenti e solenni Dwar Ev procedette alla saldatura – in oro – degli ultimi due fili. Gli occhi di venti telecamere erano fissi su di lui e le onde sub-eteriche portarono da un angolo all’altro dell’universo venti diverse immagini della cerimonia.
Si rialzò, con un cenno del capo a Dwar Reyn, e s’accostò alla leva dell’interruttore generale: la leva che avrebbe collegato, in un colpo solo, tutte le gigantesche calcolatrici elettroniche di tutti i pianeti abitati dell’universo – novantasei miliardi di pianeti – formando il supercircuito da cui sarebbe uscita la supercalcolatrice, un’unica macchina cibernetica racchiudente tutto il sapere di tutte le galassie.
Dwar Reyn rivolse un breve discorso agli innumerevoli miliardi di spettatori. Poi, dopo un attimo di silenzio, disse: «Tutto è pronto, Dwar Ev».
Dwar Ev abbassò la leva. Si udì un formidabile ronzìo che concentrava tutta la potenza, tutta l’energia di novantasei miliardi di pianeti.
Grappoli di luci multicolori lampeggiarono sull’immenso quadro, poi, una dopo l’altra, si attenuarono. Dwar Ev fece un passo indietro e trasse un profondo respiro.
«L’onore di porre la prima domanda spetta a te, Dwar Reyn».
«Grazie» disse Dwar Reyn. «Sarà una domanda cui nessuna macchina cibernetica ha potuto, da sola, rispondere».
Tornò a voltarsi verso la macchina: «C’è Dio?».
L’immensa voce rispose senza esitazione, senza il minimo crepitìo di valvole o condensatori. «Sì: adesso, Dio c’è».
Il terrore sconvolse la faccia di Dwar Ev, che si slanciò verso il quadro di comando.
Un fulmine sceso dal cielo senza nubi lo incenerì, e fuse la leva inchiodandola per sempre al suo posto.
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