Quali sono gli elementi che permettono di riconoscere l’uomo dall’automa? E com’è possibile, date certe condizioni, distinguere la vita animale dal semplice movimento della macchina? Le risposte a queste domande sono entrambe contenute nel celebre Discorso sul Metodo. In questo famoso passo, Cartesio argomenta in favore della differenza sostanziale che passa tra la vita umana e la vita animale. Mentre l’uomo è unione di Res cogitans – l’anima immateriale – e Res Extensa – il corpo materiale –, l’animale, non essendo dotato di ragione, esaurisce la sua vita nel moto materiale degli spiriti sottili che lo abitano. È questo il celebre argomento dell’Animale-Macchina che ancora, dopo quattro secoli, continua a far discutere. Se infatti gli animali non sono dotati di anima, allora non è in alcun modo possibile distinguerli dagli artefatti meccanici che ne riproducono le fattezze. Inoltre, a corollario di questa indistinguibilità, Cartesio stabilisce la superiorità dell’uomo sull’animale: solo il primo è dotato di ragione e, come tale, esso proclama la sua incommensurabilità rispetto alla macchina e la sua centralità rispetto al Creato.
Qui in particolare mi ero fermato per far vedere che, se ci fossero macchine con organi e forma di scimmia o di qualche altro animale privo di ragione, non avremmo nessun mezzo per accorgerci che non sono in tutto uguali a questi animali; mentre se ce ne fossero di somiglianti ai nostri corpi e capaci di imitare le nostre azioni, per quanto è di fatto possibile, ci resterebbero sempre due mezzi sicurissimi per riconoscere che, non per questo, sono uomini veri. In primo luogo, non potrebbero mai usare parole o altri segni combinandoli come facciamo noi per comunicare agli altri i nostri pensieri. Perché si può ben concepire che una macchina sia fatta in modo tale da proferire parole, e ne proferisca anzi in relazione a movimenti corporei che provochino qualche cambiamento nei suoi organi; che chieda, ad esempio, che cosa si vuole da lei se la si tocca in qualche punto, o se si tocca in un altro gridi che le si fa male e così via; ma non si può immaginare che possa combinarle in modi diversi per rispondere al senso di tutto quel che si dice in sua presenza, come possono fare gli uomini, anche i più ottusi. L'altro criterio è che quando pure facessero molte cose altrettanto bene o forse meglio di qualcuno di noi, fallirebbero inevitabilmente in altre, e si scoprirebbe così che agiscono non in quanto conoscono, ma soltanto per la disposizione degli organi. Infatti, mentre la ragione è uno strumento universale, che può servire in ogni possibile occasione, quegli organi hanno bisogno di una particolare disposizione per ogni azione particolare; ed è praticamente impossibile che in una macchina ce ne siano a sufficienza per consentirle di agire in tutte le circostanze della vita, come ce lo consente la nostra ragione. Ora, con questi due criteri si può conoscere anche la differenza che c'è tra gli uomini e i bruti. E assai noto che non c'è uomo tanto ebete e stupido, neppure un pazzo, che non sia capace di mettere insieme diverse parole e farne un discorso per comunicare il suo pensiero; e che al contrario non c'è altro animale, per quanto perfetto e felicemente creato, che possa fare lo stesso. Questo avviene non per mancanza di organi, perché gazze e pappagalli sono in grado di articolare parole come noi, e tuttavia non possono parlare come noi, mostrare cioè che pensano quel che dicono; mentre chi è nato sordo e muto, privato perciò come e più delle bestie degli organi che servono a parlare, suole inventare da sé segni con i quali si fa intendere da chi, standogli solitamente vicino, può apprendere facilmente il suo linguaggio. E questo non dimostra soltanto che gli animali sono meno ragionevoli degli uomini, ma che non lo sono per nulla. Perché vediamo che di ragione, per essere capaci di parlare, ce ne vuole poca; e poiché si osservano tra gli animali di una medesima specie disuguaglianze, come ce ne sono anche tra gli uomini, e si nota che alcuni si possono ammaestrare meglio di altri, sarebbe incredibile che una scimmia o un pappagallo che fossero tra i migliori della loro specie non eguagliassero in questo un bambino dei più stupidi o almeno uno che abbia il cervello leso, se non avessero un’anima di natura affatto diversa dalla nostra. Né si devono confondere le parole con i moti naturali che rivelano le passioni, e possono essere imitati dalle macchine tanto bene quanto dagli animali; o pensare, come qualcuno nell'antichità che le bestie parlino anche se non ne intendiamo il linguaggio.
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