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SCUOLA HOLDEN - Estratti - Racconto

Questi brani sono estratti dal sito della Scuola Holden https://scuolaholden.it/
Possono servire come spunti di riflessione, come suggestioni per approfondire e ampliare il tema del racconto.

1) “Non racconti una storia solo a te stesso. C’è sempre qualcun altro. Anche quando non c’è nessuno.”
Margaret Atwood (Margaret Eleanor Atwood è una poetessa, scrittrice e ambientalista canadese. Prolifica critica letteraria, femminista e attivista).

2) Ogni storia ha le sue regole.

3) Con una canzone si può raccontare una storia in tre minuti: è come avere una lente d’ingrandimento, un punto di vista privilegiato sulla realtà. Ma “una canzone non nasce all’improvviso o per miracolo. Ci sono dietro esperienze musicali ma anche vita, viaggi, letture e quotidianità. Emozioni forti, travolgenti, intuizioni geniali e poi gesti minimi, piccole abitudini. Una stratificazione nella quale entrano in gioco anche il talento e il caso”, dice Ivano Fossati.

4) La cosa più facile è immaginare che scrittura e narrazione riguardino solo racconti e romanzi. Invece ci sono moltissimi altri ambiti in cui, se utilizzate a dovere, diventano strumenti potentissimi. La scienza, la memoria storica, i fatti che accadono ogni giorno nel mondo, il territorio: sono solo alcuni esempi in cui narrazione e scrittura fanno la differenza. Basta pensare ai reportage di Francesca Mannocchi, alle lezioni sulla fisica e sull’universo di Christophe Galfard, ai viaggi nella storia e nella scienza di Piero e Alberto Angela, ai libri di Emmanuel Carrère.

5) C’è un passo de L’India dell’anima di Arundhathi Subramaniam che descrive l’esperienza di leggere e scrivere poesie come qualcosa che libera, per un istante, “dal terribile contagio dell’abitudine”. La lingua e la pratica della poesia sono liberatorie, ma bisogna essere disposti a esplorare, a scendere in profondità come sommozzatori, oltre la superficie delle cose. Per sfuggire, almeno di tanto in tanto, all’oppressione delle convenzioni.

6) A volte basta una domanda, a volte invece è una fotografia o un profumo, o persino quella marca di dentifricio da bambini. Il frullatore o la cucina della nonna. C’è sempre un punto da cui si può iniziare a raccontare la propria storia e prima di tutto bisogna trovarlo.

7) Ogni narrazione crea legami inimmaginabili e salda insieme dettagli dell’esistenza che si pensavano lontani. Allo stesso tempo, ogni storia sconfina: invade territori sconosciuti, li descrive, allarga il campo del possibile. In questo modo, esplorando ciò che ci lega e ciò che ci divide, si può capire qualcosa in più della natura umana. E, in questo modo, raccontarla sempre meglio.

8) Immaginate una classe scolastica. All’inizio della lezione si fa l’appello. A ogni nome chiamato risponde una voce: “Eccomi”, “Presente”, “Sono qui”, “Ci sono anch’io”. Solo voci femminili, piccole, di timbri e colori diversi, acute o gravi, squillanti o malinconiche. La classe è composta soltanto da bambine. Sono dieci (ma a volte, a causa di un’irrisolvibile instabilità, sono nove, altre volte undici o dodici). Questa classe di bambine non si limita a dichiarare la propria presenza; nel rispondere all’appello ognuna si alza in piedi e racconta la sua storia. Una dopo l’altra, ogni bambina fa esistere la storia dalla quale proviene, e della quale è sintesi ed emanazione, e ci racconta com’è fatta, cosa desidera e cosa teme, cosa dice e cosa tace: qual è il suo specifico mistero.

9) La lettera è una delle forme di comunicazione più intime che conosciamo. Sarà perché un tempo si scriveva a mano, scegliendo l’inchiostro e la carta, e si spediva in una busta sigillata. Una volta passata la lingua sui lembi collosi e amari (uno dei gesti più dolci in assoluto) e imbucata nella cassetta delle lettere, era troppo tardi per tornare indietro. “Tutte le altre destinazioni” sembrava un posto lontanissimo, chissà dove.
Scrivere una lettera aiuta ad aprirsi, c’è tutto il tempo per rispondere alla domanda più difficile di sempre: “Come stai?”. Non è un esercizio di esattezza, ma di verità: ci si può dilungare su avvenimenti apparentemente futili e saltarne altri fondamentali, a seconda della corrente emotiva del momento.

10) Servono tante cose, per scrivere un romanzo. Tempo, spazio, determinazione, coraggio, pazienza, disciplina, follia. E poi ancora: voce, sguardo, memoria, attenzione, gusto, idee, ancora follia. Ma chiunque si sia imbarcato in questa impresa sa che l’abilità più rara — e dunque forse la più preziosa — è la capacità di leggere se stessi. Valgono qualcosa queste pagine? Si capisce quello che ho scritto? Questo lunghissimo capitolo è davvero necessario? Sono tutte domande ricorrenti, e assillanti, cui ogni scrittore che si rispetti ha dovuto trovare una risposta. Quasi sempre, da solo. Ecco perché abbiamo disegnato il Cerchio. Entrare nel Cerchio è semplice. Basta sedersi attorno a un tavolo con altre dieci persone, maestro compreso, e condividere con loro un progetto di scrittura: l’incipit, il primo capitolo, il secondo, il terzo, e così via, fino alle ultime pagine. Guidate dall’insegnante, tutte le persone attorno al tavolo si impegnano a leggere con attenzione e a fare un commento nella sessione successiva. Questo scambio diventa poi la base per una riscrittura, che a sua volta sarà oggetto di confronto, finché ciascuno, passo dopo passo, non avrà acquisito nuovi occhi con cui guardare il proprio romanzo.
Intrecciato a questo lavoro sulla scrittura c’è poi un lavoro sul corpo, che corre parallelo alle conversazioni sul testo. Il corpo è parte attiva in ogni processo creativo — perché registra, assorbe, trasforma energia — eppure tutti noi ce lo dimentichiamo ogni giorno. Per questo, il Cerchio prevede un’attività che potremmo chiamare così: movimento. Per risvegliare, attraverso semplici gesti, la nostra parte più naturale, più animale, più sensibile. E ricominciare a vedere.
Inizieremo a lavorare con la mente dopo aver attivato e sollecitato il corpo. Ci alleneremo per affrontare il lavoro creativo e di scrittura con la giusta respirazione, dopo aver scaldato i muscoli, in un corpo tonico e rilassato. Sarà un percorso per acquisire consapevolezza della propria presenza fisica divertendosi e rilassandosi, per ritrovare una sinergia tra ragionamento e fisicità. Per vivere la scrittura come frutto non solo della mente, ma di un tutt’uno di corpo e pensiero, in cui una parte sollecita l’altra e viceversa.

11) I luoghi, i dialoghi, i personaggi e lo stile di una narrazione sono elementi che arrivano sempre dal profondo della vita di chi scrive, talvolta molto più di quanto un autore sia disposto ad ammettere.

12) Un buon racconto si fabbrica come un orologio, ha il suo congegno interno, preciso e invisibile. Se funziona bene segnerà il ritmo e l’ora, ma – questo è il prodigio – di un tempo tutto diverso, fuori dall’ordinario. Per realizzare questo cortocircuito di tempo e spazio si parte da una visione, ma si agisce su dati reali come il ritmo, il conflitto, i personaggi, l’ambientazione. E naturalmente conta molto la forza di una scrittura personale. Se riuscirai a sfrondare il tuo immaginario dai luoghi comuni e dalle espressioni abusate, sarai in grado non solo di scrivere un buon racconto, ma anche di vivere in modo più stimolante la tua stessa vita. Perché scrivere è vita aumentata, e la prima narrazione siamo noi.

13) I campioni non si costruiscono in palestra. Si costruiscono dall’interno, partendo da qualcosa che hanno nel profondo: un desiderio, un sogno, una visione. Devono avere l’abilità e la volontà. Ma la volontà deve essere più forte dell’abilità. (Muhammad Alì) Suderai anche se non ci saranno corde da saltare e pesi da sollevare, e sarà meglio che ti procuri un paio di scarpe da ginnastica e vestiti comodi.
Dentro di te devi avere la scintilla di cui parla Muhammad Alì, uno dei più grandi pugili di tutti i tempi, forse il più grande: un desiderio, un sogno, una visione. Soprattutto, devi avere la volontà di inseguire desideri, sogni e visioni e farli vibrare attraverso una storia: la tua.

14) Un film o un videogioco, un discorso politico o un romanzo, una serie TV o una graphic novel, un podcast, una pubblicità, una canzone, un post sui social: qualunque sia l’idea di partenza o il format, si racconta sempre la stessa storia. Non è mancanza di fantasia, è che le storie sono fatte così. Non facciamo altro, da millenni, che raccontare la stessa identica storia. Alla fine, sarà una storia che merita di essere ascoltata, anche se viene raccontata dalla notte dei tempi.

15) I discorsi di Steve Jobs, Humans of New York, i progetti multimediali sul tema dei rifugiati o i contest fotografici sull’industria della prostituzione: ci sono narrazioni che riescono a cambiare il modo in cui ci rapportiamo ad alcune problematiche. Le parole che cambiano il mondo. Ascoltare una storia può farci avvicinare a un problema così tanto da farlo diventare qualcosa di personale, nostro. E queste sono strategie di comunicazione usate nelle campagne di raccolta fondi dalla maggior parte delle organizzazioni no-profit. Si partirà dalle storie, prima di tutto quelle personali, condividendo i temi e le ispirazioni che ci stanno a cuore. Si valuteranno progetti video, audio, narrativi, fotografici e multimediali che hanno affrontato tematiche sociali lasciando il segno. Si vedrà cosa vuol dire sviluppare una narrazione, costruendo un piano di lavoro e una concept note, scegliendo il format più adatto, verificando quali strumenti siano più efficaci.
Partendo dagli esempi di alcune ONG italiane e straniere, si studieranno le strategie di alcune organizzazioni che stanno cambiando il modo di raccontare il sociale. Infine, ognuno stenderà un project plan originale e una timeline di lavoro, e si metterà alla prova con due sfide fondamentali: network e budget, due variabili chiave per la buona riuscita di un progetto.
L’ultimo passo sarà capire come si costruisce una rete di persone da coinvolgere e quali sono gli strumenti di finanziamento utilizzabili. E poi, il banco di prova: tutti presenteranno alla classe il loro progetto personale.

16) Il modo di comunicare e scrivere la pubblicità è cambiato radicalmente e non possiamo più affidarci alle conoscenze maturate finora. Non è solo una questione di tecnica o competenza, si tratta di scendere a patti con consumatori-cittadini, persone che entrano nel camerino di un negozio come si entra in una cabina elettorale. Votano con gli scontrini dei supermercati, aderiscono politicamente a un e-commerce e fanno dell’attivismo la cifra del loro shopping.

17) Guardare una serie TV è come fare un viaggio on the road, senza la seccatura dei bagagli. Dobbiamo solo scegliere il genere di vettura che preferiamo (utilitaria? sportiva? di lusso?) e poi salire a bordo, dal lato del passeggero. Non conosciamo né la destinazione né il motivo del viaggio, ma dobbiamo fidarci del conducente, che ha organizzato tutto nei minimi dettagli… be’, tutto tranne il rientro. Il fatto è che il mondo è un’arena talmente vasta e da rendere il viaggio potenzialmente infinito. Ci saranno deviazioni, incidenti di percorso, incontri fortuiti. Tutto questo, però, renderà il viaggio ancora più coinvolgente ed emozionante.

18) L’uomo ha cominciato a esprimersi, millenni fa, attraverso le immagini: un linguaggio più universale, più evocativo e più potente delle parole. Per questo oggi ci emozionano ancora quadri vecchi di secoli, pensati e dipinti da artisti tanto lontani nello spazio e nel tempo da essere quasi di un altro mondo. Scoprire come funzionano oggi le immagini e come riescono a raccontare storie, come vengono organizzate, pensate e prodotte è un’arma che permette di abitare meglio il mondo. Quadri di tutte le epoche saranno una guida per indagare i meccanismi della comunicazione, film e serie TV serviranno a scoprire il potere di un’inquadratura e gli spot pubblicitari saranno utili per decriptare come e perché un’immagine ci seduce.

19) Che cos’è una notizia? Come si scrive un lancio d’agenzia? Che differenza c’è tra cronaca e reportage? Come si scrive un buon reportage? Si faranno esercitazioni mirate sui fondamentali della scrittura giornalistica e sulle caratteristiche peculiari dei suoi differenti formati. E soprattutto bisognerà sporcarsi le mani e consumare un po’ la suola delle scarpe: perché le notizie bisogna andarsele a cercare. Insomma, quando poco fa si parlava di viaggio, era per davvero.

20) Comunicazione e politica sono sempre più una cosa sola. Viviamo in tempi di “campagna permanente”: non si capisce più quando inizia e quando finisce davvero una campagna elettorale.
I politici si affidano sempre più a professionisti della comunicazione per costruire e rafforzare il proprio consenso. Per questo, una delle abilità più importanti e richieste è saper scrivere per la politica.
Ma perché fu così efficace lo slogan Yes We Can che diventò il simbolo di Obama, mentre nello stesso anno il Si può fare che accompagnò la campagna elettorale di Veltroni in Italia ebbe così poca fortuna? Quali sono i discorsi politici che hanno fatto la storia? E come si può condensare un messaggio forte in pochi caratteri?

21) “Quando siete felici, fateci caso”.

22) Ce ne siamo andati tutti. Almeno una volta nella vita deve essere successo per forza. Ce ne siamo andati, ma è possibile che alla fine abbiamo deciso di tornare, e la partenza può esistere solo se c’è un ritorno. Le cose che ci spingono a partire e poi a tornare possono essere tante, e non è detto che siano sempre cose felici. Possiamo ritornare a casa, ma possiamo anche ritornare in guerra, possiamo ritornare ad amare, ma possiamo anche ritornare a non farlo.
Certo è che “ritornare” è un’azione diversa dal “tornare”. Ritornare vuol dire che siamo già tornati una volta, eppure decidiamo di tornare di nuovo. Possiamo ritornare pieni di cose e di cianfrusaglie, oppure possiamo farlo senza niente, nudi.

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