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S. AGOSTINO - Le confessioni - Relazione III

La complessità e la profondità delle relazioni di amicizia sono state oggetto di riflessione di S. Agostino, proprio nel momento in cui il filosofo ha dovuto affrontare un grande dolore: la morte un caro amico.

LIBRO IV

Storia di un’amicizia

4. 7. In quegli anni, all’inizio del mio insegnamento nella citta natale, mi ero fatto un amico, che la comunanza dei gusti mi rendeva assai caro. Mio coetaneo, nel fiore dell’adolescenza come me, con me era cresciuto da ragazzo, insieme eravamo andati a scuola e insieme avevamo giocato; pero prima di allora non era stato un mio amico, sebbene neppure allora lo fosse, secondo la vera amicizia. Infatti, non c’e vera amicizia, se non quando l’annodi tu fra persone a te strette col vincolo dell’amore diffuso nei nostri cuori ad opera dello Spirito Santo che ci fu dato. Ma quanto era soave, maturata com’era al calore di gusti affini! Io lo avevo anche traviato dalla vera fede, sebbene, adolescente, non la professasse con schiettezza e convinzione, verso le funeste fandonie della superstizione, che erano causa delle lacrime versate per me da mia madre. Con me ormai la mente del giovane errava, e il mio cuore non poteva fare a meno di lui. Quando eccoti arrivare alle spalle dei tuoi fuggiaschi, Dio delle vendette e fonte insieme di misericordie, che ci rivolgi a te in modi straordinari, eccoti strapparlo a questa vita dopo un anno appena che mi era amico, a me dolce più di tutte le dolcezze della mia vita di allora.

Malattia e morte dell’amico

8. Chi può da solo enumerare i tuoi vanti, che in se solo ha conosciuto? Che facesti tu allora, Dio mio? Imperscrutabile abisso delle tue decisioni! Tormentato dalle febbri egli giacque a lungo incosciente nel sudore della morte. Poiché si disperava di salvarlo, fu battezzato senza che ne avesse sentore. Io non mi preoccupai della cosa nella presunzione che il suo spirito avrebbe mantenuto le idee apprese da me, anziché accettare un’azione operata sul corpo di un incosciente. La realtà invece era ben diversa. Infatti, miglioro e usci di pericolo; e non appena potei parlargli, e fu molto presto, non appena poté parlare anch'egli, poiché non lo lasciavo mai, tanto eravamo legati l’uno all’altro, tentai di ridicolizzare ai suoi occhi, supponendo che avrebbe riso egli pure con me, il battesimo che aveva ricevuto mentre era del tutto assente col pensiero e i sensi, ma ormai sapeva di aver ricevuto. Egli invece mi guardo inorridito, come si guarda un nemico, e mi avverti con straordinaria e subitanea franchezza che, se volevo essere suo amico, avrei dovuto smettere di parlare in quel modo con lui. Sbalordito e sconvolto, rinviai a più tardi tutte le mie reazioni, in attesa che prima si ristabilisse e acquistasse le forze convenienti per poter trattare con lui a mio modo. Senonché fu strappato alla mia demenza per essere presso di te serbato alla mia consolazione. Pochi giorni dopo, in mia assenza, e assalito nuovamente dalle febbri e spira.

Lo sconforto di Agostino

9. L’angoscia avviluppo di tenebre il mio cuore. Ogni oggetto su cui posavo lo sguardo era morte. Era per me un tormento la mia patria, la casa paterna un’infelicità straordinaria. Tutte le cose che avevo avuto in comune con lui, la sua assenza aveva trasformate in uno strazio immane. I miei occhi se lo aspettavano dovunque senza incontrarlo, odiavo il mondo intero perché non lo possedeva e non poteva più dirmi: "Ecco, verrà", come durante le sue assenze da vivo. Io stesso ero divenuto, per me un grande enigma. Chiedevo alla mia anima perché fosse triste e perché mi conturbasse tanto, ma non sapeva darmi alcuna risposta; e se le dicevo: "Spera in Dio", a ragione non mi ubbidiva, poiché l’uomo carissimo che aveva perduto era più reale e buono del fantasma in cui era sollecitata a sperare. Soltanto le lacrime mi erano dolci e presero il posto del mio amico tra i conforti del mio spirito.

Misterioso conforto del pianto.

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