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RAFFAELE LA CAPRIA - False partenze - Letteratura e salti mortali - Il sentimento della letteratura

Ironica e caustica, la riflessione dell’autore sul rapporto tra l’apprendere a memoria e la capacità critica di analisi di ognuno di noi.

La preparazione all’esame d’italiano è stata, se è possibile, ancora più malinconica. Si parla di Dante, Leopardi, Montale, e Dante scompare, scompare Leopardi, scompare Montale. Restano le parole del libro di testo – quelle parafrasi, quelle concettosità, quei paralleli, quelle digressioni, quelle astrazioni organizzate – che non hanno niente a che fare, nessun rapporto, con la cosa di cui si parla: cioè la poesia di Dante, di Leopardi, di Montale. Quella dov’è andata a finire? Non se ne ha la minima idea, non si sa nemmeno cos’è. E allora uno pensa che imparare qualche verso a memoria, come si faceva nel buon tempo antico, potrebbe servire a ristabilire in qualche modo il contatto con la cosa, con la poesia. Ma non è questo un esercizio molto praticato nelle nostre scuole. Come si fa ad amare una cosa che non si conoscerà mai perché la nostra sensibilità non è stata allenata a riceverla? Così pare che Dante, Leopardi, Montale, si siano divertiti a scrivere i loro versi nel loro modo solo per far dispetto, solo per rendere più complicato l’esame d’italiano. Longanesi diceva: «Tutto quel che non so l’ho imparato a scuola». Potrebbero dirlo anche i nostri ragazzi.

Il disastro più grande, paragonabile al disastro ecologico che sta distruggendo il nostro paese, è il disastro del linguaggio, un linguaggio dislocato dalle sue sedi proprie e adibito a usi vari e impropri da una cultura che si è evoluta insieme alla televisione, ai rotocalchi, alle automobili, alle seconde case, alle mode e agli status symbol della nostra nuova piccola borghesia emergente, e ne ha assunto i connotati.

 

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