Attendere prego...
JEAN-PAUL SARTRE - L’essere e il nulla e L'esistenzialismo è un umanismo - Scelta

Nei due brani di Jean-Paul Sartre proposti, tratti rispettivamente da L'essere e il nulla e da L'esistenzialismo è un umanismo, viene proposta la concezione dell'uomo come individuo dotato di una libertà assoluta che lo rende del tutto autonomo nelle possibilità di scelta e dunque pienamente responsabile della propria esistenza. Fondamentale è la dimensione dell'intersoggettività, per cui gli altri sono la condizione dell'esistenza stessa dell'uomo. Ciò implica dunque che l'uomo non sia responsabile soltanto verso sé stesso, ma anche verso l'umanità tutta. 

“L'uomo è condannato ad essere libero", proclama Jean-Paul Sartre in una formula apparentemente paradossale: egli sottolinea così l'idea che la libertà dell'uomo è infinita e che, allora, rende l'uomo interamente responsabile delle sue scelte. Nessuna scusa, nessun rammarico: se la libertà è assoluta, io scelgo il significato dato all'esistenza.

L’essere e il nulla 1943, IV parte, cap. I

La conseguenza essenziale delle nostre precedenti osservazioni è che l'uomo, essendo condannato ad essere libero, porta il peso del mondo tutto intero sulle spalle; egli è responsabile del mondo e di sé stesso in quanto modo d'essere. Prendiamo la parola 'responsabilità' nel suo senso banale di 'coscienza (di) essere l'autore incontestabile di un avvenimento o di un oggetto (...) D'altra parte questa responsabilità assoluta non è accettazione: è semplice rivendicazione logica delle conseguenze della nostra libertà. Quello che mi accade, accade per opera mia e non potrei affliggermi né rivoltarmi né rassegnarmi.

Tutto ciò che mi accade è mio: si deve intendere con questo, innanzitutto, che io sono sempre all'altezza di ciò che mi accade, in quanto uomo, perché ciò che accade a un uomo da parte di altri uomini e da parte di sé stesso non potrebbe essere che umano. Le più atroci situazioni della guerra, le peggiori torture non creano una situazione inumana: non vi è situazione inumana; soltanto con la paura, la fuga e il ricorso a comportamenti magici io potrei decidere dell'inumano; ma questa decisione è umana e io ne porterei l'intera responsabilità. Ma la situazione è mia, inoltre, perché è l'immagine della mia libera scelta di me stesso, e tutto ciò che essa mi presenta è mio per il fatto che mi rappresenta e mi simboleggia. Non sono io a decidere del coefficiente d'avversità delle cose e perfino della loro imprevedibilità nel decidere di me stesso? Così, non vi sono accidenti in una vita; un evento sociale che scoppia improvvisamente e mi coinvolge non viene dal di fuori; se io vengo richiamato in una guerra, questa guerra è la mia guerra, essa è a mia immagine e io la merito. La merito innanzitutto perché potevo sempre sottrarmi ad essa, con il suicidio o la diserzione; queste possibilità estreme sono quelle che debbono sempre essere presenti, quando si tratta d'immaginare una situazione. Se ho mancato di sottrarmi ad essa, io l'ho scelta; e questo forse per ignavia, per vigliaccheria di fronte all'opinione pubblica, perché preferisco certi valori a quello del rifiuto stesso di fare la guerra (la stima dei mici vicini, l'onore della mia famiglia, ecc.). In ogni caso, si tratta di una scelta. Questa scelta sarà reiterata in seguito in maniera continua sino alla fine della guerra: è necessario, quindi, sottoscrivere le parole di J. Romains: "In guerra non vi sono vittime innocenti". Se quindi ho preferito la guerra alla morte o al disonore, è come se portassi l'intera responsabilità di questa guerra. Senza dubbio, sono stati altri a dichiararla e si sarebbe tentati, forse, a considerarmi come un semplice complice. Ma questa nozione di complicità non ha che un significato giuridico; qui, essa non regge; infatti,è dipeso da me che per me e da parte mia questa guerra non esistesse, e io ho deciso che esistesse. Non vi è stata alcuna costrizione, perché la costrizione non potrebbe avere alcuna presa su una libertà; io non ho avuto alcuna scusa, perché, come abbiamo detto e ripetuto in questo libro, la caratteristica della realtà umana è che questa è senza scusa. Non mi resta, dunque, che rivendicare questa guerra. Ma, inoltre, essa è mia perché, per il solo fatto che essa sorge in una situazione che io pongo in essere, e perché non posso scoprirvela se non impegnandomi a favore o contro di essa, io non posso più distinguere ora la scelta che io faccio di me dalla scelta che io faccio di essa: vivere questa guerra significa scegliermi attraverso essa e sceglierla attraverso la mia scelta di me stesso. Non sarebbe possibile considerarla come "quattro anni di vacanze" o di "rinvio", come una "sospensione di seduta", essendo l'essenziale delle mie responsabilità altrove, nella mia vita coniugale, familiare, professionale. Ma in questa guerra che io ho scelta, io mi scelgo giorno per giorno e la faccio creando me stesso. Se essa deve essere quattro anni vuoti, sono io a portarne la responsabilità. Infine, (...) ogni persona è una scelta assoluta di sé sulla base di un mondo di conoscenze e di tecniche che questa scelta assume e chiarisce nello stesso tempo; ogni persona è un assoluto che fruisce di una data assoluta e del tutto impensabile in un'altra data. É dunque ozioso chiedersi ciò che io sarei stato se questa guerra non fosse scoppiata, perché io mi sono scelto come uno dei sensi possibili dell'epoca che conduceva insensibilmente alla guerra: io non mi distinguo da questa stessa epoca, non potrei essere trasportato in un'altra epoca senza contraddizione. Così sono io questa guerra che circoscrive, limita e fa comprendere il periodo che l'ha preceduta. In questo senso, alla formula che citavamo poco fa, "non vi sono vittime innocenti", bisogna aggiungere, per definire più nettamente la responsabilità del per-sé, quest'altra: "Si ha la guerra che si merita". Così, totalmente libero, indistinguibile dal periodo di cui io ho scelto di essere il senso, profondamente responsabile della guerra come se l'avessi dichiarata io stesso, non potendo affatto vivere senza integrarla nella mia situazione, senza impegnarmi completamente e segnarla con il mio sigillo, io debbo essere senza rimorsi e rimpianti come sono senza scusa, perché, dal momento del mio sbocciare all'essere, io porto il peso del mondo tutto da solo, senza che niente o nessuno possa alleggerirlo.

L'esistenzialismo è un umanismo

L'uomo, secondo la concezione esistenzialistica, non è definibile in quanto all'inizio non è niente. Sarà solo in seguito, e sarà quale si sarà fatto. [...] L'uomo è soltanto, non solo quale si concepisce, ma quale si vuole, e precisamente quale si concepisce dopo l'esistenza e quale si vuole dopo questo slancio verso l'esistere: l'uomo non è altro che ciò che si fa. Questo è il principio primo dell'esistenzialismo. Ed è anche quello che si chiama la soggettività e che ci vien rimproverata con questo termine. Ma che cosa vogliamo dire noi, con questo, se non che l'uomo ha una dignità più grande che non la pietra o il tavolo? Perchè noi vogliamo dire che l'uomo in primo luogo esiste, ossia che egli è in primo luogo ciò che si slancia verso un avvenire e ciò che ha coscienza di progettarsi verso l'avvenire. 

L'uomo è, dapprima, un progetto che vive se stesso soggettivamente, invece di essere muschio, putridume o cavolfiore; niente esiste prima di questo progetto; niente esiste nel cielo intelligibile; l'uomo sarà innanzitutto quello che avrà progettato di essere. [...] 

Ma, se veramente l'esistenza precede l'essenza, l'uomo è responsabile di quello che è. Così il primo passo dell'esistenzialismo è di mettere ogni uomo in possesso di quello che egli è e di far cadere su di lui la responsabilità totale della sua esistenza. E, quando diciamo che l'uomo è responsabile di se stesso, non intendiamo che l'uomo sia responsabile della sua stretta individualità, ma che egli è responsabile di tutti gli uomini. La parola "soggettivismo" ha due significati e su questa duplicità giocano i nostri avversari. Soggettivismo vuol dire, da una parte, scelta del soggetto individuale per se stesso e, dall'altra, impossibilità per l'uomo di oltrepassare la soggettività umana. Questo secondo è il senso profondo dell'esistenzialismo. Quando diciamo che l'uomo sceglie, intendiamo che ciascuno di noi si sceglie, ma, con questo, vogliamo anche dire che ciascuno di noi, scegliendosi, sceglie per tutti gli uomini. Infatti, non c'è uno solo dei nostri atti che, creando l'uomo che vogliamo essere, non crei nello stesso tempo una immagine dell'uomo quale noi giudichiamo debba essere. Scegliere d'essere questo piuttosto che quello è affermare, nello stesso tempo, il valore della nostra scelta, giacché non possiamo mai scegliere il male; ciò che scegliamo è sempre il bene e nulla può essere bene per noi senza esserlo per tutti. Se l'esistenza, d'altra parte, precede l'essenza e noi vogliamo esistere nello stesso tempo in cui formiamo la nostra immagine, questa immagine è valida per tutti e per tutta intera la nostra epoca. Così la nostra responsabilità è molto più grande di quello che potremmo supporre, poiché essa coinvolge l'umanità intera. [...] 

  • JEAN-PAUL SARTRE - L’essere e il nulla e L'esistenzialismo è un umanismo - Scelta  Scarica
Per inserire commenti devi autenticarti.
Nessun commento.