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JEAN PAUL SARTRE - Il muro - Wall

Il muro segue di pochi mesi La Nausea che è il romanzo d’esordio di Sartre. In entrambe le opere Sartre rappresenta la vacuità e l’incoerenza del vivere. Così si esprime Sartre: “Nessuno vuole guardare in faccia l’Esistenza. Ecco, poste di fronte, cinque piccole disfatte – tragiche o comiche – cinque vite. Ogni tentativo di fuga e impedito da un Muro. Fuggire dall’Esistenza è ancora esistere. L’Esistenza è un pieno che l’uomo non puo abbandonare” (J. P. Sartre, OEuvres romanesques, cit. p. 158, 1807).

Il muro è un’opera strutturata in cinque racconti nella quale il concetto di muro è una costante, un elemento che si interpone nelle vite miserabili con la sua aspra materialità facendosi metafora tragica dell’immobilità e incomunicabilità umana. Il culto dell’individuo, che dal Rinascimento ha indirizzato verso una coscienza sempre più autoreferenziale, ha paradossalmente inciso sulla disgregazione sociale generando una serie di individui non comunicanti. Questo tipo di dinamica antisociale e tra i fondamenti delle vicende de Il muro. I muri dei quali si parla nei cinque racconti – che materialmente tengono rinchiusi i vari personaggi – simboleggiano l’esistenza umana, che appare pietrificata e fossilizzata, resa inutile dallo scacco a cui tutti sono destinati e vanificata dalla mancanza di senso delle cose.

Scritto nel 1939, questo racconto è ambientato durante la Guerra Civile Spagnola (18 luglio 1936 - 1 aprile 1939) mentre i Nazionalisti, guidati dal generale Francisco Franco, sconfiggevano le forze della Repubblica spagnola entrando a Madrid.
Il titolo dell’opera si riferisce al muro utilizzato dai plotoni d’esecuzione per le fucilazioni dei prigionieri e simboleggia l’inevitabilità della morte. Il protagonista viene condotto insieme ad altri due ragazzi in una cella. Gli verrà annunciata la condanna a morte per la mattina seguente. Ma gli viene pure offerta una via d’uscita: rivelare la posizione di un compagno. Il protagonista si rifiuta di cooperare fino a poco prima della sua esecuzione, per poi fornire alle autorità informazioni, da lui considerate false, sul luogo in cui il compagno si trova. Per una tragica combinazione di eventi il compagno si è davvero spostato dal suo nascondiglio e viene ucciso. La vita del protagonista è cosi, almeno temporaneamente, risparmiata dalla morte.

VERSIONE ITALIANA

Il cielo era magnifico, nessuna luce filtrava nell’angolo buio e dovevo solo alzare la testa per vedere il Grande Carro. Ma non era il solito di sempre: la sera prima avevo potuto vedere un grande pezzo di cielo dalla cella del monastero e ogni ora del giorno mi ha portato un ricordo diverso. Di mattina, quando il cielo era di un azzurro acceso, pensavo alle spiagge dell’Atlantico; a mezzogiorno ho visto il sole e ho ricordato un bar di Siviglia dove bevevo manzanilla e mangiavo olive e acciughe; il pomeriggio ero all’ombra e ho pensato all’ombra profonda che si estende su metà del mondo e che lascia l’altra metà luccicante alla luce del sole; è stato davvero difficile vedere tutto il mondo riflesso nel cielo, a quel modo. Ma ora posso guardare il cielo quanto mi piace, non evoca più nulla in me. Mi è piaciuto di più. Sono tornato e mi sono seduto vicino a Tom.

Passo un lungo momento.
Tom iniziò a parlare a bassa voce. Doveva parlare, se non lo avesse fatto non sarebbe stato in grado di riconoscersi nella propria mente. Pensavo stesse parlando con me, ma non mi stava guardando. Aveva senza dubbio paura di vedermi com’ero, grigio e sudato: eravamo simili e peggio che specchi l’uno dell’altro. Guardava il belga, il vivo.
“Capisci?” Disse. “Non capisco.”
Anche io iniziai a parlare a bassa voce. Ho osservato il belga. “Perché? Qual è il problema?”
“Ci succederà qualcosa che non riesco a capire.” Tom aveva uno strano odore. Ero diventato più sensibile del solito agli odori. Sorrisi. “Capirai tra poco.” “Non è chiaro”, disse ostinatamente. “Voglio essere coraggioso ma devo almeno saperlo. Ascolta, ci porteranno nel cortile. Bene. Staranno in piedi di fronte a noi. Quanti?”
“Non lo so. Cinque o otto. Non di più.”
“Va bene. Ce ne saranno otto. Qualcuno griderà “mirate!” e vedrò otto fucili che mi guardando. Penserò a come mi piacerebbe entrare nel muro, mi spingerò contro di lui con la schiena... con ogni grammo di forza che ho, ma il muro rimarra, come in un incubo. Posso immaginare tutto ciò. Se solo sapessi quanto bene posso immaginarlo.”
“Va bene!” gli dissi: “lo immagino anche io”.
“Deve fare un male cane. Sai che mirano agli occhi e alla bocca per sfigurarci” aggiunse con cattiveria. “Sento già le ferite; è da un’ora che ho delle fitte alla testa e al collo. Non proprio dolori veri, peggio: sono le fitte che sentirò domattina. E poi che accadrà?”

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