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ERASMO DA ROTTERDAM – Elogio della follia - Follia

L'opera Elogio della pazzia (1509) vede la Follia - figlia di Pluto, dio della ricchezza, allevata da Ebbrezza, figlia di Bacco, e dall'Ignoranza, figlia di Pan - mettere a nudo le menzogne che circondano gli uomini e con cui nascondono le brutalità e i dolori del mondo. Erasmo sostiene che la follia non è una malattia, ma piuttosto una forma differente e più alta di soggettività che, opponendosi alla norma, ne rileva la finzione. Per il filosofo la normalità è pazzia. Erasmo ritiene dunque la follia un'ironia smascheratrice, una critica nei confronti di una realtà ingiusta e corrotta.

Parla Follia

[1] Comunque parlino solitamente di me i mortali – conosco bene la brutta fama della Follia anche tra i più folli – io sola tuttavia, io sola vi dico, rallegro con la mia divina potenza dei e uomini. Prova grande e più che sufficiente è che appena mi sono presentata a parlare in questo affollatissimo consesso, tutti i volti si sono illuminati di nuova allegria. Avete subito spianato la fronte, applaudito con uno scoppio di risa lieto ed affettuoso. […] Insomma, come di solito avviene sulla terra all’apparire del disco splendente e dorato del sole, o come dopo l’aspro inverno al rinnovato soffio dei carezzanti favoni di primavera l’aspetto allora di ogni cosa subitamente muta, un nuovo colore e quasi la vera giovinezza ritorna; così alla mia vista il vostro volto è immediatamente cambiato. E così ciò che oratori peraltro grandi riescono ad ottenere con prolissi discorsi lungamente meditati, di dissipare cioè dagli animi i fastidi e le preoccupazioni, io l’ho procurato in un istante con la mia sola apparizione.

 

[2] Il motivo per cui mi presento oggi in questo insolito abbigliamento, lo udirete subito, purché non vi pesi porgere le orecchie alle mie parole, non certo come avete l’abitudine di tenderle ai dicitori sacri, bensì ai ciarlatani di piazza, ai buffoni e ai matti; le orecchie che un tempo il nostro grande Mida porse a Pan. Ho infatti deciso di sofisteggiare un poco davanti a voi, non come oggidì s’inculcano nei fanciulli quisquiglie angoscianti e si diffonde un’ostinazione più che donnesca nelle liti. Imiterò invece gli antichi, che per evitare il nome screditato di Sapienti preferirono farsi chiamare Sofisti. La loro occupazione consisteva nel celebrare con elogi le glorie degli dèi e degli eroi. E dunque udirete un elogio, non di Ercole né di Solone ma di me stessa, ossia della Follia.

 

[29] Ed ora se, dopo aver rivendicato a me stessa il vanto dell’energia e della capacità, rivendicassi anche quello del senno? Dirà qualcuno: sarebbe come mescolare il fuoco con l’acqua. Eppure, credo di riuscire anche in questo, se appena mi presterete orecchio e attenzione come avete fatto finora.

Per cominciare, se il senno è un frutto dell’esperienza, a chi compete meglio il vanto del suo nome: al sapiente, che un po’ per pudore, un po’ per timidezza di carattere non mette mano a nulla; oppure al folle, che non si astiene da niente, sia per mancanza di pudore sia per nessun calcolo del rischio? Il saggio si rifugia nei libri degli antichi e non ne apprende che arguti discorsi; il folle, affrontando direttamente i rischi, ottiene, se non erro, il senno autentico. Ben lo vide, e lo si vede chiaramente, Omero, quantunque cieco, quando disse: "Lo stolto s’istruisce agendo". Due infatti sono gli ostacoli principali all’acquisto della conoscenza della realtà: il pudore, che offusca lo spirito, e il timore, che additando i rischi dissuade all’azione. Da tutto ciò affranca mirabilmente la follia. Pochi mortali intendono quanti altri vantaggi procurino la mancanza di pudore e un’audacia pronta a tutto.

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