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ERASMO DA ROTTERDAM – De libero arbitrio (1524) - Libertà

Con la dissertazione De libero arbitrio, Erasmo prende posizione contro la dottrina luterana della predestinazione. La definizione di libero arbitrio su cui Erasmo costruisce il proprio discorso è quella di un “potere della volontà umana in virtù del quale l’uomo può sia applicarsi a tutto ciò che lo conduce all’eterna salvezza, sia, al contrario, allontanarsene”.

Il brano proposto di seguito individua nell’azione (salvifica) dell’uomo tre “parti”, ovvero tre momenti di un unico processo (“l’inizio, lo sviluppo ed il compimento”), Erasmo può attribuirvi origini o cause diverse: mentre l’impulso iniziale e il traguardo finale dipendono dalla grazia divina, lo svolgimento è legato alla libera scelta dell’individuo, il quale può decidere se assecondare o meno il “movimento” impresso da Dio.

[…] nell’azione umana ci sono tre parti: l’inizio, lo sviluppo ed il compimento […]. Così due cause concorrono alla stessa azione, cioè la grazia divina e la volontà umana; ma la grazia è la causa principale, la volontà è la causa secondaria che non può nulla senza la principalementre questa, cioè la grazia, è autosufficiente così come il fuoco brucia per virtù sua naturale, benché Dio sia la sua causa essenziale che sottintende l’azione del fuoco e senza la quale il fuoco perderebbe tutta la sua efficacia se essa venisse a mancargli […].

Si vede pertanto come, in virtù di questo accordo, l’uomo dovrebbe fare omaggio intero della sua salvezza alla grazia divina, dato che la parte che è riservata al libero arbitrio è sì poca cosa e per di più esso trae ancora la sua origine dalla stessa grazia di Dio che ha, tanto per cominciare, creato il libero arbitrio, prima ancora di liberarlo e guarirlo. Così saranno rassicurati, per tanto che li si possa rassicurare, quelli che credono che l’uomo nulla possa perseguire di bene se Dio non lo vuole per lui. […]

Proviamo ad esporre il nostro punto di vista servendoci di un paragone. L’occhio umano, per sano che sia, non vede nelle tenebre; ma se fosse accecato non vedrebbe più nulla neppure alla luce. La volontà, pure, ancorché libera, nulla può se si sottrae alla grazia: in piena luce colui che ha buoni occhi può chiuderli per non vedere nulla e può distoglierli da ciò che guardava per cessare di guardare ciò che era capace di vedere. Ma colui che aveva gli occhi malati deve essere grandemente riconoscente per aver recuperato la vista: deve gratitudine innanzitutto al Creatore e poi al medico. Prima del peccato l’occhio era assolutamente sano, è il peccato che lo ha guastato.

Che cosa può dunque attribuire a se stesso colui che vede? Può tutt’al più rivendicare a sé il diritto di chiudere o di distogliere gli occhi per paura della luce.

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