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VOLTAIRE (FRANÇOIS-MARIE AROUET) - Trattato di metafisica - Imperfezione

Voltaire [1694 – 1778], nel Trattato di metafisica (pubblicato postumo nel 1784), fonda la sua convinzione deistica su una variante della prova teleologica. Il finalismo delle parti delle quali si compongono gli esseri viventi, secondo il pensatore francese, comporta la probabile (non certa!) esistenza di un essere superiore e intelligente che ha dato forma al mondo naturale. Da questo argomento, tuttavia, conclude Voltaire, possiamo solo inferire che dio organizzi la natura (rendendola, quindi, perfetta), ma non che il mondo sia stato creato da lui: l’essere superiore cui il filosofo fa riferimento è, in altre parole, molto vicino al demiurgo platonico (che plasma la materia informe) e non al Dio cristiano che, dal nulla, dà origine al tutto.

«[Un modo] per acquisire la nozione di “essere che dirige l’universo”[...] è considerare... il fine al quale ogni essere appare essere diretto. Quando vedo un orologio con una lancetta che segna le ore, concludo che un essere intelligente ha progettato la meccanica di questo meccanismo, così che appunto la lancetta segni le ore. Perciò, quando vedo il meccanismo del corpo umano, concludo che un essere intelligente ha progettato questi organi per essere nutriti all’interno del ventre materno per nove mesi; gli occhi per vedere, le mani per afferrare e così via. Ma da simile argomento, non posso concludere nient’ altro, a parte per il fatto che sia probabile che un essere intelligente e superiore ha preparato e dato forma alla materia con abilità; non posso concludere da tale argomento e basta che questo essere ha creato la materia dal nulla o che è infinito in qualsiasi senso s’intenda. A ogni modo cerco con intensità dentro alla mente mia la connessione tra le seguenti idee — “è probabile che io sia il prodotto di un essere più potente di me stesso, quindi questo essere è eterno, quindi ha creato tutto quanto, quindi è infinito e così via.” — Non riesco a intravedere il filo che porti direttamente a quella conclusione. Posso solo constatare che v’è qualcosa di più potente di me stesso, e nient’altro.»

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