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SOFOCLE - Edipo Re - Cecità

La complessa endiadi tra cecità degli occhi e possesso della visione interiore è il perno attorno al quale si dipana anche la tremenda vicenda del personaggio di Edipo, narrata da Sofocle nelle due tragedie del Ciclo Tebano che portano il suo nome. Nello scambio di battute riportato di seguito il re di Tebe assume gradualmente consapevolezza della sua tragica condizione mediante l’entrata in scena di Tiresia, l’indovino cieco chiamato a corte proprio per contribuire allo scioglimento della trama. È solo grazie all’intervento di Tiresia, infatti, che Edipo apprende di essere lui stesso la causa del morbo che affligge la città di Tebe, ad un  tempo  uccisore  inconsapevole  del  padre  Laio  e  marito  incestuoso  della  madre  Giocasta.  Come sottolineato dalle parole del cieco Tiresia – unico personaggio a conoscere da principio tutta la verità dei fatti – Edipo non riesce a vedere la bassezza morale in cui è caduto. Egli ha occhi, eppure inizialmente non ha contezza delle colpe commesse. Ecco dunque che, proprio in conseguenza di quanto predettogli dal veggente, presto Edipo verrà tragicamente a conoscenza del suo angoscioso destino. Ma questa conoscenza acquisita esigerà un prezzo tragicamente alto da pagare, ossia la privazione della vista materiale. Al culmine del complesso paradosso simbolico sapientemente intrecciato da Sofocle si staglia dunque il tragico gesto dell’auto-accecamento di Edipo, soluzione estrema quanto necessaria di fronte all’impossibilità per il soggetto di reggere il peso di una verità che sconvolge l’animo e il corpo.

Nella vicenda narrata nell’Edipo Re, pertanto, la controparte dialettica della vista sensibile è evidentemente rappresentata dalla cecità. Accecamento e visione vengono a strutturarsi così come i due poli contrari, ma complementari, del medesimo orizzonte simbolico. Lungi dal poter essere definiti esclusivamente come una privazione del potere legato alla vista, la cecità di Tiresia e l’auto-accecamento di Edipo designano un modo di vedere alternativo, differente e più profondo rispetto alla visione sensibile.

  

Edipo – Tu Tiresia che anche cieco vedi bene i segni e i segreti terreni e celesti. Vedi bene il morbo che ci affligge. Febo ci manda a dire che scamperemo solo se verrà punito l’uccisore di Laio, con la morte o con l’esilio. Siamo nelle tue mani. Salvaci salvando te stesso. Dicci qualunque voce ti provenga o altre magie, perché giovare al proprio prossimo con qualunque mezzo è il compito più bello dell’uomo. Ma mi sembri abbattuto, che c’è?

Tiresia – Ah, com’è grave avere senno quando chi l’ha non se ne giova. Lasciami andare a casa, dà retta a me che è meglio per tutti. [….]

 Edipo – No, adesso devi parlare. L’ira che mi invade mi suggerisce tu possa essere coinvolto nella tresca. Non solo, penso che se avessi vista, l’unico assassino saresti tu.

Tiresia – Ah si? Allora ti dico che tu non puoi più rivolgerti a questa gente. Perché quell’empio sei tu. Tu sei quell’assassino che cerchi e ora attieniti al tuo editto.

Edipo – Pensi di potermi dire questo impunemente. Attento a te se mi oltraggi ancora.

Tiresia – Sei tu che mi hai spinto a dire mio malgrado. Vuoi sentire altro che faccia crescere la tua ira? Bene, senza saperlo hai coi tuoi cari un commercio turpe, né sai l’infamia a cui sei giunto.

Edipo – Che cosa? Fammi capire, ripeti. No, in te verità non c’è. Tu sei cieco negli occhi e nella mente. È una trovata tua Creonte? La notte ti nutre ma non farai danno né a me né ad altri vedenti. [….]

 Tiresia – Anche se tu sei re, mi spetta il diritto di risponderti da pari a pari perché io non sono tuo schiavo ma di Apollo. Non sarà Creonte il mio protettore, E dal momento che mi hai rinfacciato anche la mia cecità, allora ti dico: si, tu hai gli occhi, ma non riesci a vedere in quale miseria sei caduto, né dove abiti, né con chi vivi. E sai forse da chi sei nato? Lo staffile doppio della maledizione, e di padre e di madre, ti caccerà da questa terra con piede inesorabile. Adesso guardi dritto ma presto non vedrai che tenebra.

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