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JOHN LOCKE - Saggio sull'intelletto umano - Cecità

Sarebbe possibile per un cieco nato – che riacquistasse miracolosamente la vista – distinguere le figure del cubo e della sfera mediante il solo ausilio del senso acquisito, escludendo dunque il ricorso agli altri sensi? Ecco il quesito che il dott. William Molyneux, astronomo e membro rispettato del Trinity College di Dublino, pose a John Locke in una lettera datata 1692. La risposta data dal filosofo inglese, pubblicata nel II libro del suo Saggio sull’Intelletto Umano, aprì una vera e propria controversia a cui presero parte molti dei più importanti filosofi del periodo e che viene comunemente ricordata come "Problema di Molyneux".

Il quesito del dott. Molyneux era dunque finalizzato a individuare le modalità di relazione sussistenti tra le nuove percezioni visive, che impressionano il soggetto precedentemente cieco, e i vecchi concetti delle figure presenti nel suo intelletto prima del recupero della vista, costruiti mediante il solo ausilio del tatto.

Va da sé, inoltre, che dietro l’apparente semplicità della domanda si nascondevano una serie di nodi epistemologici molto più intricati e spinosi: la disputa sulla maggiore o minore oggettività della vista rispetto al tatto, ad esempio, e la possibilità di rintracciare delle differenze categoriali nelle idee prodotte dai due sensi; oppure la decisione in merito a quale fosse la vera origine delle idee o, ancora, la ricerca della corretta relazione esistente tra le forme della sensibilità e quelle del giudizio.

Ora, al di là del sostanziale accordo tra Locke e Molyneux in merito alla risposta da fornire al problema, ciò che è interessante sottolineare in questo contesto è la persistenza di alcuni caratteri nella descrizione del soggetto cieco che soggiace al pensiero dei due autori. In questo senso, nel passo riportato di seguito emerge  una  visione  della  cecità  fortemente  unilaterale  e  assolutizzante;  incredibilmente  distante  dalle figurazioni mitologiche e filosofiche che ne avevano dato gli antichi greci. A questo proposito, è interessante notare come il pensiero moderno abbia piuttosto stabilito una vera e propria equazione funzionale tra il potere percettivo della vista e il vedere, inteso in senso assoluto.

 

 

[II 8. 9] Dobbiamo inoltre considerare, a proposito della percezione, che le idee ricevute per mezzo della sensazione sono sovente, negli adulti, alterate dal giudizio, senza che ce ne accorgiamo. [….] A questo proposito voglio inserire qui un problema che quell’ingegnoso e studioso promotore della vera conoscenza, l’erudito e degno Mr. Molyneux, si è compiaciuto di invitarmi in una lettera qualche mese addietro. Si tratta di questo: «Immaginiamo un uomo nato cieco, ora adulto, al quale si è insegnato per mezzo del  tatto a distinguere fra un cubo e una sfera dello stesso metallo e pressappoco della stessa grandezza. Supponiamo ora di mettere il cubo e la sfera sul tavolo, e che al cieco sia data la vista: si domanda se, mediante la vista prima di toccarli, egli saprebbe ora distinguerli e dire qual è il cubo e qual è la sfera?». L’acuto e giudizioso signore risponde: «No, perché, sebbene egli abbia appreso dall’esperienza la maniera in cui un globo o un cubo agiscono sul suo tatto in una data maniera, non sa che l’angolo sporgente del cubo, che premeva in modo diseguale sulla sua mano, apparirà al suo occhio così come il cubo». Sono d’accordo con il pensiero di questo signore, che sono orgoglioso di chiamare un amico, nella risposta che da al problema e credo che il cieco, al momento di vederli per la prima volta, non sarebbe in grado di dire con certezza quale fosse il globo e quale il cubo, finché li vede soltanto, anche se poteva senza fallo nominarli e distinguerli mediante il tatto, per la differenza delle loro figure percepita dalle mani. Ho voluto segnalare qui questo problema, che lascio al lettore quale occasione per considerare quanto egli debba all’esperienza, allo sviluppo e alle nozioni acquisite, mentre egli crede di non trarne il minimo giovamento o ausilio. E questo tanto più perché quell’acuto signore soggiunge che avendo, all’occasione del mio libro, proposto questo problema a varie persone assai ingegnose, non ne ha quasi mai trovate che gli abbiano dato subito la risposta che egli considera vera, fino a quando non venissero convinti delle sue ragioni».

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