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ARISTOTELE - Metafisica - Cecità

Vi sono pochi dubbi sul fatto che Aristotele sia stato il primo dei grandi filosofi di età antica ad indagare in profondità tutti i piani del monumentale edificio di saperi costruito dalla cultura greca. Il piano più alto di questo edificio, "l’attico" per così dire, nell’idea di Aristotele è la Metafisica: ovvero quella scienza che si occupa di studiare le cose che vengono dopo la Fisica – le cose μετ τα Φυσικ, nella celebre definizione che ne diede Andronico di Rodi più di tre secoli dopo.

Il primo dei due testi proposti di seguito è appunto l’incipit con cui si apre il I libro della Metafisica e può essere considerato alla stregua di un’introduzione generale alle indagini filosofiche argomento degli altri libri. Nelle parole di Aristotele, infatti, tutti gli uomini sono portati per natura alla ricerca della conoscenza, dato che provano un amore incondizionato per le sensazioni. E, tra tutti i tipi di sensazione che possono provare, prediligono quelle generate mediante la vista. Così come già affermato da Platone, dunque, la capacità di vedere è superiore a tutte le altre sensazioni sia in vista del raggiungimento di scopi pratici sia in relazione al puro piacere; alla sensazione non finalizzata.

La superiorità degli occhi su gli altri organi di senso viene ribadita anche nel secondo dei passi aristotelici selezionati. Questa volta è il De sensu et sensibilis a ricordarci come alla vista debba essere assegnato un posto di assoluto privilegio rispetto agli altri sensi. E tuttavia, qui il filosofo greco stempera l’assolutezza del giudizio mediante il paragone con le altre facoltà: l’udito, ad esempio, viene considerato il migliore dei sensi in rapporto all’intelligenza, dato che è mediante l’orecchio che si impara il discorso. Ecco perché i ciechi, pur essendo privi del senso per eccellenza, sono comunque molto più intelligenti dei sordi o dei muti. Le cecità non compromette la capacità del soggetto di costruire un sistema di conoscenze adeguate rispetto al mondo; al contrario, per buona parte della cultura classica, ne garantisce e ne fonda la possibilità stessa.

 

Tutti gli uomini aspirano per natura alla conoscenza. Ne è segno l’amore che portano per le sensazioni: e infatti le gradiscono di per sé, indipendentemente dall’uso che ne possono fare, e tra tutte preferiscono le sensazioni che hanno attraverso gli occhi. Infatti noi preferiamo, per così dire, la vista a tutte le altre sensazioni, non solo quando miriamo ad uno scopo pratico, ma anche quando non intendiamo compiere alcuna azione. E il motivo sta nel fatto che questa sensazione, più di ogni altra, ci fa acquistare conoscenza e ci presenta con immediatezza una molteplicità di differenze.

 

[Tra tutti i sensi] il migliore è la vista, sia ai fini delle necessità di vita, sia di per sé, mentre l’udito è il migliore ai fini dell’intelligenza e per accidente. La facoltà della vista ci informa di molte differenze di ogni specie, perché tutti i corpi partecipano del colore, sicché soprattutto con la vista si colgono le qualità sensibili comuni – e intendo per tali la figura, la grandezza, il movimento e il numero. L’udito informa delle differenze del suono, e nel caso di pochi animali rivela anche le differenze della voce. Accidentalmente l’udito dà il maggior contributo all’intelligenza. Infatti il discorso è causa dell’apprendimento in quanto è percepibile con l’udito, ma esso è percepibile con l’udito non di per sé, bensì in via accidentale. Perciò, tra quelli che dalla nascita sono privi di un senso o di un altro sono più intelligenti i ciechi che i sordi e i muti.

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