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SIGMUND FREUD - La scomposizione della personalità psichica, in Introduzione alla psicoanalisi, Opere complete vol. 11 - Imperfezione II

In questo stralcio della lezione n. 31 - La scomposizione della personalità psichica, tratto da Introduzione alla psicoanalisi, nuova serie di lezioni universitarie di S. Freud, troviamo la chiave di lettura della profonda scissione della coscienza umana, scissione che porta ad una visione dell’anima umana non certo come un tutto armonico ma come una continua ricerca di un equilibrio precario e conflittuale di forze opposte.

Signore e Signori, so che conoscete l’importanza che nelle vostre relazioni, sia con le persone che con le cose, ha il punto di partenza. Così è stato anche per la psicoanalisi: per lo sviluppo che essa ha assunto e per l’accoglienza che ha trovato, non è stato indifferente che abbia iniziato il suo lavoro sulla cosa più estranea all’Io che vi è nella psiche, il sintomo. Il sintomo deriva dal rimosso, ne è, per così dire, il rappresentante dinanzi all’Io; il rimosso, per contro, è per l’Io territorio straniero, territorio straniero interno, così come la realtà - consentite l’espressione insolita - è territorio straniero esterno. Dal sintomo la nostra strada ci condusse all’inconscio, alla vita pulsionale, alla sessualità, e fu allora che alla psicoanalisi toccò udire la geniale obiezione che l’uomo non è semplicemente un essere sessuale, ma conosce anche impulsi più nobili ed elevati. Si sarebbe dovuto aggiungere che, esaltato dalla consapevolezza di questi impulsi più elevati, egli spesso si arroga il diritto di sragionare e di trascurare i fatti. Sapete anche di più. Noi abbiamo detto fin dal principio che l’uomo si ammala per il conflitto fra le esigenze della sua vita pulsionale e la resistenza che contro di esse si solleva in lui, e mai un istante abbiamo dimenticato questa istanza che si oppone, respinge, rimuove, che pensavamo dotata di sue particolari forze, le pulsioni dell’Io, e che coincide appunto con l’Io della psicologia popolare. Per altro verso, poiché è proprio del lavoro scientifico progredire faticosamente, anche alla psicoanalisi non fu possibile studiare simultaneamente tutti i campi e pronunciarsi d’un sol colpo su tutti i problemi. Alla fine il progresso fu tale che l’attenzione poté convergere dal rimosso al rimovente, e ci si trovò di fronte a questo Io (il quale sembrava essere così ovvio) con l’aspettativa certa di trovare anche qui cose alle quali non si poteva essere preparati; ma non fu facile dapprima trovare il modo di avvicinarlo. E’ di questo che voglio parlarvi oggi. Non posso tuttavia nascondere il mio sospetto che questa esposizione della psicologia dell’Io vi farà un effetto diverso dall’introduzione nel mondo psichico sotterraneo che l’ha preceduta. Perché debba essere così, non so dirlo con certezza. Dapprima credevo che avreste rilevato che, mentre in precedenza vi avevo riferito principalmente fatti - seppure insoliti e strani, - questa volta vi sarebbe toccato sentire prevalentemente concetti teorici, ossia speculazioni. Ma la ragione non può essere questa. Riflettendoci meglio, bisogna pur affermare che nella nostra psicologia dell’Io la parte di rielaborazione intellettuale dei dati di fatto non è molto più grande di quanto fosse nella psicologia delle nevrosi. Sono altrettanto da respingere anche altre ragioni. Ora ritengo che la cosa dipenda in qualche modo dal carattere della materia stessa e dal fatto che non siamo abituati a trattarla. In ogni caso, non sarò sorpreso se vi mostrerete ancora più riservati e prudenti nel vostro giudizio di quanto lo siate stati finora. Sarà la situazione, in cui ci troviamo all’inizio della nostra indagine, a indicarci il cammino. Nostro desiderio è fare oggetto di questa indagine l’Io, il nostro Io più autentico; ma è possibile? L’Io è il soggetto per eccellenza, come può diventare oggetto? Ora, non c’è alcun dubbio che questo è possibile: l’Io può prendere come oggetto sé stesso, trattarsi come altri oggetti, osservarsi, criticarsi e fare di sé stesso Dio sa quante altre cose ancora. Così facendo, una parte dell’Io si contrappone alla restante. L’Io dunque è scindibile; si scompone nel corso di parecchie sue funzioni, almeno transitoriamente. Le parti possono successivamente riunirsi. Questa non è esattamente una novità, forse è un’accentuazione insolita di cose generalmente note. D’altro canto siamo avvezzi all’idea che la patologia possa rendere evidenti, ingrandendole e rendendole più vistose, condizioni normali che altrimenti ci sarebbero sfuggite. Dove essa ci mostra una frattura o uno strappo, normalmente può esistere una articolazione. Se gettiamo per terra un cristallo, questo si frantuma, ma non in modo arbitrario; si spacca secondo le sue linee di sfaldatura in pezzi i cui contorni, benché invisibili, erano tuttavia determinati in precedenza dalla struttura del cristallo. Strutture simili, piene di strappi e fenditure, sono anche i malati mentali. Neanche noi possiamo negare loro un po’ del reverenziale timore che gli antichi dimostravano per i pazzi. Si sono staccati dalla realtà esterna ma, appunto per questo, sanno moltissimo della realtà interna, psichica, e possono rivelarci più di una cosa che ci sarebbe altrimenti inaccessibile. Di un gruppo di questi malati noi diciamo che soffrono di delirio di attenzione. Essi si lamentano di essere molestati incessantemente, e fin nelle loro più intime azioni, da forze ignote, probabilmente persone, che li osservano, e odono in forma allucinatoria queste persone proclamare i risultati della loro osservazione, “adesso sta per dire questo, adesso si veste per uscire” eccetera. Questa attenzione non è ancora una persecuzione, ma non ne è molto lontana; essa presuppone che la gente diffidi di loro, che aspetti di sorprenderli nel compiere azioni proibite, per le quali dovrebbero essere puniti. E se questi pazzi avessero ragione, se nell’Io di tutti noi ci fosse una simile istanza che osserva e minaccia castighi e che in loro si è soltanto separata nettamente dall’Io ed è stata erroneamente spostata nella realtà esterna? Non so se anche a voi accadrà lo stesso che a me. Da quando, sotto il forte influsso di questo quadro clinico, ho concepito l’idea che la separazione di un’istanza osservatrice dal resto dell’Io potrebbe essere un tratto regolare nella struttura dell’Io, essa non mi ha più abbandonato e mi ha spinto a indagare gli ulteriori caratteri e relazioni di questa istanza che così veniva separata. Il passo successivo è immediato. Già il contenuto del delirio di attenzione suggerisce che l’osservare è solo una preparazione al giudicare e al punire, e noi indoviniamo così che un’altra funzione di questa istanza dev’essere ciò che chiamiamo la nostra coscienza morale. Non c’è forse null’altro in noi che separiamo tanto regolarmente dal nostro Io e gli contrapponiamo con tanta facilità come, appunto, la coscienza morale. Io avverto l’inclinazione a fare qualcosa da cui mi riprometto piacere, ma ometto di farlo perché la mia coscienza non me lo permette. Oppure mi sono lasciato indurre da un’eccessiva speranza di trarne piacere a fare qualcosa contro cui la voce della coscienza sollevava obiezioni e, dopo averlo fatto, la mia coscienza mi punisce con penosi rimproveri, mi fa provare rimorso per l’azione. Potremmo dire semplicemente che la particolare istanza che comincia a distinguersi nell’Io è la coscienza morale, ma è più prudente mantenere a questa istanza la sua autonomia e supporre che la coscienza morale sia una delle sue funzioni e che l’autoosservazione preliminare, indispensabile all’attività giudicatrice della coscienza, ne sia un’altra. E poiché il riconoscimento di un’esistenza separata implica che si dia alla cosa un nome, d’ora in poi designerò questa istanza dell’Io come il “SUPER-IO”. Mi pare di sentire arrivare la vostra domanda ironica, se la nostra psicologia dell’Io non miri ad altro che a prendere alla lettera e rendere più grossolane certe astrazioni usuali, a trasformarle da concetti in cose, con il che avremmo fatto un bel guadagno! Vi rispondo che non è facile evitare nella psicologia dell’Io ciò che è universalmente noto: più che di nuove scoperte si tratterà di nuovi modi di concepire e di raggruppare. Per intanto, attenetevi pure alle vostre critiche e aspettate gli ulteriori sviluppi. I dati della patologia creano ai nostri sforzi uno sfondo che voi cerchereste invano nella psicologia popolare. Pertanto proseguo. Non appena ci siamo familiarizzati con l’idea di un Super-io che gode di una certa autonomia, che persegue i propri intenti ed è indipendente dall’Io per quanto riguarda il suo patrimonio energetico, la nostra attenzione è particolarmente attirata da un quadro clinico che illustra con evidenza la severità e persino la crudeltà di questa istanza e le sue mutevoli relazioni con l’Io. Mi riferisco allo stato di melanconia o, più precisamente, dell’accesso melanconico, di cui anche voi, anche se non siete psichiatri, avete certo avuto modo di sentir parlare. La caratteristica più appariscente in questo male, sulle cui cause e sul cui meccanismo sappiamo ben poco, è il modo in cui il Superio - ditevi tra voi: la coscienza morale tratta l’Io. Mentre in periodi sani il melanconico può essere più o meno severo con sé stesso, come chiunque altro, nell’accesso melanconico il Super-io diventa esageratamente severo, insulta, umilia, maltratta il povero Io, gli prospetta i più severi castighi, gli muove rimproveri per azioni da molto tempo trascorse e prese, allora, alla leggera, come se durante l’intero intervallo non avesse fatto altro che raccogliere accuse e aspettare il suo presente rafforzamento per farsi avanti, e forte di esse pronunciare la sua condanna. Il Super-io impone all’Io inerme, che è in sua balìa, i più severi criteri morali; è in generale il sostenitore delle esigenze della moralità, e improvvisamente ci rendiamo conto che il nostro senso morale di colpa è l’espressione della tensione fra l’Io e il Super-io. E’ un’esperienza assai curiosa vedere la moralità, che si presume ci sia stata conferita da Dio e sia radicata in noi tanto profondamente, manifestarsi come un fenomeno periodico. Infatti, dopo un certo numero di mesi tutto il trambusto morale è passato, la critica del Super-io tace, l’Io è riabilitato e gode nuovamente di tutti i diritti dell’uomo fino al prossimo accesso. Anzi, in talune forme della malattia, ha luogo nell’intervallo tutto l’opposto: l’Io si trova in uno stato di beata ebbrezza, trionfa, come se il Super-io avesse perso ogni forza o si fosse fuso con l’Io; e questo Io maniaco, divenuto libero, si permette realmente senza inibizioni il soddisfacimento di tutti i suoi appetiti. Siamo di fronte a processi carichi di enigmi insoluti! All’annuncio che abbiamo appreso le cose più impensate sulla formazione del Super-io, e quindi sull’origine della coscienza morale, voi non vi accontenterete di certo di parole vaghe. Seguendo il noto detto di Kant, che accosta la coscienza morale dentro di noi al cielo stellato, un essere pio potrebbe volgersi a venerare queste due cose come i capolavori della creazione. Le stelle sono magnifiche, ma, per quanto riguarda la coscienza morale, Dio ha compiuto un lavoro disuguale e trascurato, poiché la grande maggioranza degli uomini ne ha ricevuto soltanto una quantità modesta o addirittura talmente piccola che non vale la pena di parlarne. Noi non disconosciamo affatto la parte di verità psicologica che è contenuta nell’affermazione che la coscienza morale è di origine divina, ma la tesi ha bisogno di un’interpretazione. Anche se tale coscienza è qualcosa “in noi”, non lo è fin dall’inizio. Essa si pone in diretto contrasto con la vita sessuale, la quale esiste realmente fin dall’inizio della vita e non sopravviene solo più tardi. Per contro il bambino piccolo è notoriamente amorale, non possiede inibizioni interiori contro i propri impulsi che desiderano il piacere. La funzione che più tardi assume il Super-io viene dapprima svolta da un potere esterno, dall’autorità dei genitori. I genitori esercitano il loro influsso e governano il bambino mediante la concessione di prove d’amore e la minaccia di castighi, i quali ultimi dimostrano al bambino la perdita d’amore e di per sé stessi sono quindi temuti. Questa angoscia reale è la precorritrice della futura angoscia morale; finché essa domina, non c’è bisogno di parlare di Super-io e di coscienza morale. Solo in seguito si sviluppa la situazione secondaria - che noi siamo troppo facilmente disposti a ritenere quella normale - in cui l’impedimento esterno viene interiorizzato e al posto dell’istanza parentale subentra il Super-io, il quale ora osserva, guida e minaccia l’Io, esattamente come facevano prima i genitori col bambino. Il Super-io, che in tal modo assume il potere, la funzione e persino i metodi dell’istanza parentale, non ne è però soltanto il successore legale, ma realmente il legittimo erede naturale. Esso ne deriva direttamente, e apprenderemo presto attraverso quale processo. Dapprima, tuttavia, dobbiamo soffermarci su una differenza fra i due. Il Super-io sembra aver preso, con una scelta unilaterale, solo il rigore e la severità dei genitori, la loro funzione proibitrice e punitiva, mentre la loro sollecitudine e il loro amore non vengono ripresi e continuati. Se i genitori hanno applicato realmente un regime di severità, diventa facilmente comprensibile che anche nel bambino si sviluppi un Super-io severo; tuttavia l’esperienza mostra, contrariamente alle nostre aspettative, che il Super-io può acquistare lo stesso carattere di inesorabile rigore anche se l’educazione era stata indulgente e benevola e aveva evitato il più possibile minacce e castighi. Ritorneremo più avanti su questa contraddizione, quando tratteremo le trasformazioni pulsionali durante la formazione del Super-io. Sulla metamorfosi della relazione parentale in Super-io non posso dirvi tutto quello che vorrei, in parte perché questo processo è così intricato che la sua esposizione non rientra nell’ambito di un’introduzione quale si propone di essere questa, in parte perché noi stessi non siamo sicuri di averlo pienamente compreso.

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