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SIGMUND FREUD - Cinque conferenze sulla psicoanalisi, estratto dalla Seconda conferenza - Imperfezione II

Tratto dalle Cinque conferenze sulla psicoanalisi, questo estratto della Seconda conferenza di Freud pone l’accento sulla scissione della coscienza, ecco che il termine “imperfezione” assume un nuovo significato con la rottura dell’unità dell’io. Le forze della rimozione e repressione agiscono nella nostra psiche, facendo in modo che si attui un processo in continuo movimento, di contro a quello che è il concetto di perfezione che invece implica una certa staticità.

Avevo dunque trovato la conferma del fatto che i ricordi dimenticati non erano perduti. Erano in possesso del malato e pronti ad affiorare in associazione a ciò ch’egli già sapeva, ma una certa forza impediva loro di diventare coscienti e li costringeva a rimanere inconsci. Si poteva presumere con certezza l’esistenza di questa forza, perché si avvertiva una tensione ad essa corrispondente quando si tentava – contrastandola – di introdurre i ricordi inconsci nella coscienza del malato. La forza che manteneva in vita lo stato morboso veniva avvertita come una resistenza da parte del malato.

[…] Le stesse forze, che oggi come resistenza impedivano al materiale dimenticato di divenire cosciente, dovevano a suo tempo aver provocato questo oblio e aver espulso dalla coscienza le corrispondenti esperienze patogene. Detti il nome di rimozione a questo processo da me ipotizzato, e lo considerai confermato dall’esistenza innegabile della resistenza.

[…] Un esame comparativo delle situazioni patogene, che avevamo imparato a conoscere attraverso il trattamento catartico, permetteva di dare la risposta. In tutte queste vicende era avvenuto che affiorasse un impulso di desiderio, il quale era in netto contrasto con gli altri desideri dell’individuo e si rivelava incompatibile con le esigenze etiche ed estetiche della personalità. C’era stato un breve conflitto, e alla fine di questa lotta interiore la rappresentazione che compariva dinanzi alla coscienza come portatrice di quel desiderio inconciliabile cadeva nella rimozione e, insieme ai ricordi ad essa pertinenti, veniva espulsa dalla coscienza e dimenticata. L’incompatibilità di codesta rappresentazione con l’Io del malato era dunque il motivo della rimozione; le esigenze etiche o di altro tipo dell’individuo erano le forze rimoventi. L’accettazione dell’impulso di desiderio incompatibile, come pure la continuazione del conflitto, avrebbero provocato un alto grado di dispiacere; questo dispiacere era risparmiato dalla rimozione, che in tal modo si dimostrava uno dei dispositivi di sicurezza della personalità psichica.

In luogo di molti esempi voglio raccontarvi uno solo dei miei casi, nel quale condizioni e vantaggi della rimozione sono riconoscibili in maniera sufficientemente chiara. […] Una giovane ragazza, che aveva perduto poco tempo prima l’amato padre alla cui assistenza aveva preso parte […] dimostrò, sposandosi la sorella maggiore, una particolare simpatia per il nuovo cognato, simpatia ch’ella poté facilmente mascherare come affettuosità familiare. Ben presto la sorella si ammalò e morì, mentre la paziente era assente insieme alla madre. Le assenti furono tosto richiamate, senza venire esattamente informate del doloroso evento. Quando la ragazza s’accostò al letto della sorella morta, affiorò in lei per un attimo un’idea che si potrebbe all’incirca rendere con le parole: ora è libero e può sposarmi. Possiamo ammettere come cosa certa che quest’idea – attraverso la quale si svelava alla sua coscienza l’intenso amore per il cognato di cui lei stessa non era consapevole – venne consegnata un momento dopo alla rimozione dal tumulto dei suoi sentimenti. La ragazza si ammalò di gravi sintomi isterici e quando l’ebbi presa in trattamento risultò che aveva completamente dimenticato la scena svoltasi al letto della sorella e l’orribile impulso egoistico in lei sorto. Se ne ricordò durante il trattamento, riprodusse il momento patogeno tra i segni di un’emozione violentissima, e in questo modo guarì.

Mi è forse permesso di dimostrarvi il processo della rimozione e il necessario rapporto di questa con la resistenza mediante una metafora grossolana, che voglio desumere proprio dalla nostra situazione attuale. Supponete che in questa sala e in questo uditorio, di cui non so abbastanza lodare l’esemplare silenzio e l’attenzione, si trovi però un individuo che si comporti in modo disturbante e distolga la mia attenzione dal mio compito ridendo maleducatamente, chiacchierando e stropicciando i piedi. Io dichiaro che così non posso continuare la conferenza, e allora tra voi si alzano alcuni robusti signori e dopo breve lotta mettono alla porta il disturbatore della quiete. Egli è dunque “rimosso” e io posso continuare la mia conferenza. Ma perché il disturbo non si ripeta, quando l’espulso tenti di penetrare nuovamente nella sala, i signori che hanno eseguito la mia volontà accostano le loro sedie alla porta, disponendosi in tal modo come “resistenza” una volta avvenuta la rimozione. Se ora traducete queste località in termini psichici come “conscio” e “inconscio”, vi trovate di fronte a una riproduzione abbastanza fedele del processo di rimozione.

[…] Se ci pensate bene, con l’allontanamento del disturbatore e con il disporsi dei custodi davanti alla porta la faccenda non è necessariamente finita. Può darsi benissimo che l’individuo messo alla porta, ormai esasperato e assolutamente privo di riguardo, ci dia ancora del filo da torcere. Per la verità non è più tra noi, ci siamo liberati della sua presenza, del suo riso beffardo, delle sue osservazioni a mezza voce, eppure in un certo senso l’allontanamento non ha avuto successo, perché ora, all’esterno, egli fa un baccano insopportabile e le sue grida e il suo picchiare alla porta con i pugni ostacolano la mia conferenza più di quanto la ostacolasse prima il suo comportamento maleducato.

[…] Per dirla ora in modo più diretto: esaminando i malati isterici e altri nevrotici, perveniamo alla convinzione che in essi è fallita la rimozione dell’idea a cui è legato il desiderio intollerabile. L’hanno, è vero, cacciata dalla coscienza e dalla memoria e si sono in apparenza risparmiati una grande quantità di dispiacere, ma nell’inconscio l’impulso di desiderio rimosso continua a esistere, spiando il momento buono per la sua riattivazione e inviando poi alla coscienza, in luogo di ciò ch’è stato rimosso, una formazione sostitutiva deformata e resa irriconoscibile, alla quale ben presto si allacciano le stesse sensazioni di dispiacere che si credeva di aver evitato attraverso la rimozione. Questa formazione sostitutiva dell’idea rimossa – il sintomo – è immune da ulteriori attacchi da parte dell’Io difensivo, e al posto del breve conflitto subentra ora una sofferenza che non cessa col passare del tempo. Nel sintomo si può costatare, accanto ai segni della deformazione, un residuo di somiglianza, in qualche modo mediata, con l’idea originariamente rimossa; le vie sulle quali si è compiuta la formazione sostitutiva possono essere scoperte nel corso del trattamento psicoanalitico, e per la guarigione del paziente è necessario che il sintomo venga ricondotto sulle stesse vie e nuovamente tradotto nell’idea rimossa. Quando il materiale rimosso è stato ricondotto all’attività psichica cosciente, il che presuppone il superamento di considerevoli resistenze, allora il conflitto psichico che era sorto nel modo anzidetto e che il malato voleva evitare, può trovare sotto la direzione del medico un esito migliore di quello offerto dalla rimozione.

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