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SENECA - Lettera a Lucilio, III, 23

Questo estratto dalla Lettera a Lucilio di Seneca è stato scelto per far vedere come la filosofia romana ha subito l’influsso delle scuole ellenistiche. Seneca, infatti, riflette sull’interiorità dell’anima in quanto la ritiene l’unica strada possibile per giungere alla felicità.

ORIGINE ED ESSENZA DELLA VERA GIOIA

Non crederai certo che io ti scriva per narrarti come si è comportato benignamente con noi l’inverno che è stato mite e breve, invece come è stata maligna la primavera coli un freddo intempestivo e altre sciocchezze di questo genere che vanno bene per chi cerca argomenti sii cui fare parole. Io ti scriverò invece di cose che possano giovare a me e a te: ed il meglio che possa fare è proprio questo, ti esorterò a formarti ed a mantenere uno spirito sano. Mi chiedi quale ne sia il fondamento? E’ il non compiacersi di vanità... Ho detto il fondamento: ma è più esatto dire che è il suo momento culminante. E lo ha raggiunto colui che sa di che cosa debba compiacersi e che non ha messa la sua felicità in potere altrui. E’ invece destinato a vivere sempre pieno di ansie e d’incertezze colui che è sempre agitato dalla speranza di qualche cosa anche se l’ha a portata di mano e non gli è affatto difficile ottenerla e anche se non è mai stato deluso nelle sue speranze.

Prima di tutto, caro Lucilio, impara a godere. Non devi credere che io voglia toglierti molti piaceri perché io voglio allontanare da te ciò che appartiene al caso, perché credo che siano da evitare i dolci allettamenti delle speranze: al contrario io voglio che la gioia non ti manchi mai, che ti nasca in casa: e nascerà purché essa sia dentro di te. Vi sono altre forme di allegrezza che però non riempiono il cuore, rasserenano l’esteriorità del viso, ma restano alla superficie a meno che tu non ritenga una persona in vero stato di gioia solo perché ride. L’animo deve essere alacre, fiducioso e levarsi più in alto di ogni cosa. Credi a me, Lucilio, la vera gioia sempre austera. Puoi credere tu che quanti ti si presentano col volto sereno e anche ilare, come dice questa gente effeminata, sappiano sprezzare la morte, aprire la casa alla povertà, frenare i piaceri e fare oggetto di meditazione la tolleranza del dolore? Chi sa rielaborarsi dentro di sé tali pensieri non può a meno di sentire una gioia grande, se anche appare poco carezzevole. Io vorrei che tu fossi in possesso di siffatta gioia: ed essa non potrà mancarti, una volta che abbi trovato il fonte a cui bisogna chiederla. I metalli di lieve peso si trovano a fior di terra: i metalli più ricchi sono invece quelli la cui vena si nasconde più profonda ma risponderà con maggiore abbondanza allo sforzo di chi scava. Le cose delle quali si diletta il volgo danno un godimento tenue e superficiale e qualunque gioia raggiunta con esteriore artificio manca di fondamento: questa invece della quale ti parlo ed alla quale mi sforzo di farti pervenire è una gioia concreta ed effettiva, che si spiega ampia e aperta nell’interiorità dell’anima. Ti prego, o Lucilio carissimo, volgi la tua azione alla sola cosa che può darti la felicità, rompi e calpesta tutte coteste cose che hanno una luminosità puramente esteriore, che ti vengono promesse ora dall’uno ora dall’altro, mira invece a quello che è il vero bene e cerca quella gioia che puoi ricavare da qualcosa che è veramente tuo. E che è questo tuo da cui puoi ricavare la vera gioia? Sei tu stesso, è la parte migliore di te. Anche questo nostro povero corpo senza il quale noi non possiamo fare cosa alcuna è bensì necessario ma non di alto valore. Esso ci dà piaceri vani e fugaci, che sono poi cagione di pentimento, e che se non vengono tenuti in freno con grande moderazione, vanno a finire al termine opposto: intendo dire con questo che il piacere sta sull’orlo dell’abisso, e se appena non è tenuto entro ben precisi limiti cade e si volge in dolore. Certo riesce ben difficile mantenere la misura in ciò che tu credi il bene. Il desiderio del vero bene non presenta pericoli. In che cosa consiste, tu mi domandi, e donde ha origine? Ecco, dalla buona coscienza, dall’onesto pensiero e dal retto operare, dal disprezzo del fortuito, da un sereno e diritto tenore di vita che mantiene costante il suo cammino. Quelli infatti che passano da un proposito all’altro, che anzi non passano ma sono trasportati in nuove direzioni da circostanze casuali, come possono essi, così mal sicuri ed errabondi, avere qualche cosa di certo e duraturo? Pochi sono coloro che sanno disporre di sé e delle loro cose con pensata decisione: i più non sanno ma sono portati come oggetti galleggianti su un fiume. Alcuni di questi oggetti hanno trovato un’onda leggera che li porta più dolcemente, altri sono rapiti da un’onda più veemente, altri ancora sono stati deposti e giacciono vicino alla riva dove la corrente illanguidisce, e altri infine sotto da una corrente impetuosa scagliati in mare. Bisogna dunque stabilire bene che cosa vogliamo, e poi perseverare nel nostro volere.

Ma è ormai giunto il momento in cui debbo pagare il mio debito. Posso infatti rimetterti un detto di Epicuro e chiudere così questa lettera. “E’ cosa molesta ricominciare sempre la vita", oppure, se così si può esprimere meglio il concetto: “vivono male quelli che cominciano sempre a vivere.” ”Perché?” tu mi dirai; ed è infatti una sentenza che ha bisogno di qualche spiegazione. Vivono male, ti rispondo, perché la loro vita ha sempre qualche cosa di incompiuto, e non può essere preparato a morire chi in quel momento comincia a vivere. Bisogna fare in modo che possiamo sempre aver vissuto abbastanza: ed evidentemente non può persuadersi di questo chi sopra ogni cosa pensa sempre a ordire da capo la tela della vita. E non credere che costoro siano pochi: sono quasi tutti. Anzi vi sono persino quelli che cominciano proprio allora, quando sarebbe invece tempo di finire. Se poi questa ti par cosa che possa recar meraviglia, te ne aggiungerà un’altra che ti farà meravigliare di più. Vi sono alcuni che hanno cessato di vivere prima di cominciare. Addio.

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