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ROBERTO ESPOSITO – Immunitas. Protezione e negazione della vita - Immunità

Nella quarta di copertina del libro di Roberto Esposito, Immunitas. Protezione e negazione della vita (Torino, Einaudi, 2020), si legge: «Mai come in questo momento, connotato da una minaccia sempre più pressante e diffusa, la richiesta di immunizzazione sembra caratterizzare tutti gli aspetti della nostra esistenza.

Quanto più si sente esposta al rischio di infiltrazione e di contagio da parte di elementi estranei, tanto più la vita dell’individuo e della società si chiude all’interno dei propri confini protettivi. Tuttavia questa opzione immunitaria ha un prezzo assai alto: come il corpo individuale, anche quello collettivo può essere «vaccinato» dal male che lo insidia soltanto attraverso la sua immissione preventiva e controllata».

Nelle pagine introduttive di questo libro, l’autore delinea le premesse fondamentali di una riflessione molto più ampia che riguarda il destino della vita individuale e di quella collettiva, alle prese con la pandemia del Covid-19.

In un qualsiasi giorno degli ultimi anni è capitato che i quotidiani abbiano dato notizia, magari sulle stesse pagine, di eventi apparentemente eterogenei. Cosa hanno in comune tra loro fenomeni come la battaglia contro una nuova insorgenza epidemica, l’opposizione alla richiesta di estradizione di un capo di Stato straniero accusato di violazione dei diritti umani, il rafforzamento delle barriere nei confronti dell’immigrazione clandestina e le strategie per neutralizzare l’ultimo virus dei computer? Nulla finché li si legge all’interno dei rispettivi ambiti separati della medicina, del diritto, della politica sociale e della tecnologia informatica. Le cose, tuttavia, cambiano se li si riporta ad una categoria interpretativa che trova la propria specificità appunto nella capacità di tagliare trasversalmente quei linguaggi particolari riportandoli ad un medesimo orizzonte di senso. Come appare fin dal titolo di questo saggio, ho individuato tale categoria in quella di ‘immunizzazione’. Sulla sua fonte semantica e sul suo meccanismo di funzionamento tornerò in maniera più articolata di qui a qualche pagina. Ma già ad un livello puramente fenomenologico di discorso se ne può rintracciare un primo profilo in una evidente analogia: nonostante la loro disomogeneita lessicale, gli avvenimenti prima richiamati risultano tutti riconducibili ad una risposta protettiva nei confronti di un rischio. Che si tratti dell’esplosione di una nuova malattia infettiva, della contestazione di consolidate prerogative giuridiche, dell’improvvisa intensificazione del flusso migratorio o della manomissione dei grandi sistemi di comunicazione – per non parlare di un attacco terroristico – quello che comunque si presenta è la rottura di un precedente equilibrio e dunque l’esigenza della sua ricostituzione.

Fin qui, tuttavia, siamo ad una formulazione ancora generica della categoria in oggetto – che però trova una connotazione più peculiare quando dal riferimento ad una indeterminata situazione di pericolo si passa alla individuazione della sua specifica configurazione: ciò che appare subito palese è che in ciascuno dei casi richiamati essa ha i caratteri dello sconfinamento. Che ad essere insidiato sia il corpo individuale da parte di una malattia diffusa, il corpo politico da parte di un’intrusione violenta o il corpo elettronico da parte di un messaggio deviante, ciò che resta costante è il luogo in cui si situa la minaccia: che è sempre quello del confine tra l’interno e l’esterno, il proprio e l’estraneo, l’individuale e il comune. Qualcuno o qualcosa penetra in un corpo – singolare o collettivo – e lo altera, lo trasforma, lo corrompe. Il termine che meglio si presta a rappresentare questa dinamica dissolutiva – proprio per la sua polivalenza semantica che lo colloca all’incrocio tra i linguaggi della biologia, del diritto, della politica e della comunicazione – è quello di ‘contagio’. Ciò che prima era sano, sicuro, identico a se stesso, e ora esposto ad una contaminazione che rischia di devastarlo. Naturalmente una minaccia di questo tipo è costitutivamente inerente ad ogni forma di vita individuale così come ad ogni tipo di aggregazione umana. Ma ciò che conferisce un particolare rilievo all’esigenza di immunizzazione – facendone addirittura il perno di rotazione simbolico e materiale dei nostri sistemi sociali – è il carattere, insieme di accelerazione e di generalizzazione, che da qualche tempo ha assunto tale deriva contagiosa. Quando si misura il numero di morti per Aids in Africa a più di due milioni per anno, con una previsione di mortalità pari ad un quarto della popolazione totale; o quando si calcola in decine di milioni di persone il potenziale di immigrazione nei paesi europei da parte dei territori del terzo mondo in vertiginosa crescita demografica, si coglie solo il dato macroscopico di un fenomeno assai più capillare e stratificato. A spaventare, oggi, non è la contaminazione in quanto tale – da tempo considerata inevitabile – quanto la sua diramazione incontrollata e inarrestabile in tutti i gangli produttivi della vita.

 

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