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PLATONE - Fedro, 246e-247d - Intelletto

[246 E] In questo dialogo Platone affronta il tema della retorica nel suo duplice ruolo: servire per raggiungere correttamente alla conoscenza della verità e aiutare a comunicarla. L’intelletto – questo dialogo tratta della dottrina delle idee – serve a recuperare il concetto nella sua interezza, nella sua unicità.

 E il divino è ciò che è bello, sapiente e buono e tutto ciò che è di questo tipo.
            Appunto da queste cose le ali dell’anima vengono nutrite e accresciute in grado supremo; invece, dalla bruttezza, dalla malvagità e da tutti i contrari negativi esse vengono guastate e mandate in rovina.

            Zeus, il grande sovrano che sta in cielo, conducendo il carro alato, è il primo a procedere, ordina tutte quante le cose e si prende cura di esse. A lui tien dietro un esercito di dei e di demoni [247 A], ordinato in undici schiere. Infatti, nella casa degli dei rimane Estia da sola. Quanto gli altri dei, quelli che sono stati posti come capi in questo numero di dodici, guidano, ciascuno, la loro schiera, secondo l’ordine con cui sono stati scelti. Molti e beati sono, dunque, le visioni e i percorsi che compie la stirpe degli dei beati, mentre ciascuno di questi adempie il proprio compito.

Tien dietro agli dei che sempre lo vuole e ne ha la capacità: infatti, l’invidia fuori dal coro divino.

Quando essi vanno a banchetti per prendere cibo [B], procedono per l’ascesa fino a raggiungere la sommità della volta del cielo.

Là i veicoli degli dei, che sono ben equilibrati e agili da guidare, procedono bene; gli altri, invece, procedono con fatica. Il cavallo che è partecipe del male, infatti, cala, piegando verso terra e opprimendo quell’auriga che non abbia saputo allevarlo bene.

Qui all’anima si presenta la fatica e la prova suprema.

Infatti, allorché le anime che sono dette immortali pervengono alla sommità del cielo, procedendo al di fuori, si posano sulla volta del cielo, e la rotazione del cielo le trasporta così posate, ed esse contemplano [C] le cose che stanno al di fuori del cielo.

L’iperuranio, il luogo sopraceleste, nessuno dei poeti di quaggiù lo cantò mai, ne mai lo canterà in modo degno.

La cosa sta in questo modo, perché bisogna avere veramente il coraggio di dire il vero, specialmente se si parla della verità.

L’essere che realmente è, senza colore, privo di figura e non visibile, e che può essere contemplato solo dalla guida dell’anima, ossia dall’intelletto, e intorno a cui verte la conoscenza vera, occupa [D] tale luogo.

Ora, poiché la ragione di un dio è nutrita da una intelligenza e da una scienza pura, anche quella di ogni scienza pura, anche quella di ogni anima cui prema di conoscere ciò che le conviene, quando vede dopo un certo tempo l’essere, si allieta, e, contemplando la verità, se ne nutre e ne gode, finché la rotazione del cielo non l’abbia riportata allo stesso punto.

Nel giro che essa compie vede la Giustizia stessa, vede la Temperanza, vede la Scienza, non quella connessa col divenire, né quella che è differente in quanto si fonda su quelle cose alle quali noi ora diamo il nome di esseri, ma quella che è veramente scienza in quello che è veramente essere.

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