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PLATONE - Apologia di Socrate - Paura

La cognizione della finitezza è il primo passo per aver coscienza di sé. La paura aiuta per rendersi conto dei nostri limiti, tanto fisici quanto conoscitivi.

PRIMA PARTE L’ACCUSA HA ESPOSTO LE SUE RAGIONI; L’ACCUSATO, SOCRATE, REPLICA CON LE SUE CONTRODEDUZIONI

XVII. Perché in verità è così, cittadini ateniesi: dove uno si sia schierato da sé, perché lo riteneva il posto migliore, o dove sia stato messo da un comandante, lì si deve - secondo me - avere il coraggio di restare, senza curarsi né della morte né di altro di fronte alla vergogna. Cittadini [28e] ateniesi, quando i comandanti che voi sceglieste per me mi schierarono in battaglia a Potidea, ad Anfipoli e a Delio, rimasi dove mi avevano disposto, come qualsiasi altro, e rischiavo di morire. Farei dunque una azione terribile se, quando invece a schierarmi è il dio, come io ho supposto e inteso, con l’ordine di vivere facendo filosofia ed esaminando me stesso e gli altri, avessi paura della morte [29a] o di qualunque altra cosa e abbandonassi il mio posto. Sarebbe una cosa terribile, e mi si potrebbe certo portare in tribunale giustamente, con l’accusa di non credere che gli dei esistano, perché disubbidisco all’oracolo, ho paura della morte e penso di essere sapiente senza esserlo. Infatti, cittadini, aver paura della morte non è nient’altro che sembrare sapiente senza esserlo, cioè credere di sapere quello che non si sa. Perché nessuno sa se per l’uomo la morte non sia per caso il più grande dei beni, eppure la temono come se sapessero bene [29b] che è il più grande dei mali.

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