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PIER ALDO ROVATTI - L'umanità in gioco

Il gioco è una dimensione umana che chiama in causa tanto la nostra natura quanto specifiche categorie cognitive che sono necessarie per “giocare bene”.

Mettersi in gioco non è un gioco

Ecco una frase che mi è capitato di ascoltare in un dibattito pubblico attorno al "competere" come carattere della società contemporanea. La richiamo poiché contiene un aspetto essenziale e cioè che Ia parola "gioco", in cui sta Ia chiave di tutta Ia questione, ha un significato e un’operatività non univoci: va bene "mettersi in gioco" purché il gioco non sia quella ovvietà cui solitamente ci riferiamo ma qualcos'altro. Che cosa? Qualcosa di molto "serio" e coinvolgente che ci mette radicalmente all'opera. Come negarlo? Ma, attenzione, cosi la parola "gioco" perde o guadagna qualcosa. Guadagna e perde. Un poco si snatura. Il giocare si trasforma in altro, può essere sostituito da altre parole più precise, ma al tempo stesso cede — per dir cosi — la propria mobilità: non è più qualcosa di oscillante e paradossale, perde una parte decisiva della sua specificità di gioco.

L'istruzione numero uno potrebbe allora essere la seguente: facciamo in modo che la frase "mettersi in gioco non si svuoti di ciò che è più importante, ovvero del gioco stesso, delle risorse di pensiero che nella sua performatività, cioè nella sua pratica, il gioco può mettere a nostra disposizione. Il gioco è per noi una "X" che va sondata e tradotta in un "esercizio" che non ci è affatto abituale.

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