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MICHEL FOUCAULT- Sorvegliare e Punire - Relazione III

Il potere non è un bene che si possiede, ma è qualcosa che si esercita all’interno di una relazione, una forza che si impone, che investe tutti coloro che sono in una posizione di inferiorità. Michel Foucault, riflettendo sul concetto di potere e cercando di definirlo, evidenzia quanto la relazione tra gli individui sia determinante.

Ora, lo studio di questa microfisica suppone che il potere che vi si esercita non sia concepito come una proprietà, ma come una strategia, che i suoi effetti di dominazione non siano attribuiti ad una “appropriazione”, ma a disposizioni, manovre, tattiche, tecniche, funzionamenti, che si decifri in esso piuttosto una rete di relazioni sempre estese, sempre in attività, che non un privilegio che si potrebbe detenere, che gli si dia per modello la battaglia perpetua, piuttosto che il contratto operante una cessione o la conquista che si impadronisce di un dominio. Bisogna insomma ammettere che questo potere lo si eserciti piuttosto che non lo si possieda, che non sia “privilegio” acquisito o conservato dalla classe dominante, ma effetto d'insieme delle sue posizioni strategiche – effetto che manifesta e talvolta riflette la posizione di quelli che sono dominati. D'altra parte, questo potere non si applica puramente e semplicemente, come un obbligo o un'interdizione, a quelli che “non l'hanno”; esso li investe, si impone per mezzo di loro e attraverso loro; si appoggia su di loro, esattamente come loro stessi, nella lotta contro di lui, si appoggiano a loro volta sulle prese che esso esercita su di loro. Ciò vuol dire che ingranaggi, non c'è analogia, né omologia, ma specificità di meccanismo e di modalità. Infine esse non sono univoche, ma definiscono innumerevoli punti di scontro, focolai di instabilità di cui ciascuno comporta rischi di conflitto, di lotte e di inversioni, almeno transitorie, dei rapporti di forza. Il rovesciamento di questi “micropoteri” non obbedisce dunque alla legge del tutto o niente, né è conseguito una volta per tutte da un nuovo controllo degli apparati o da un nuovo funzionamento o da una distruzione delle istituzioni; in cambio, nessuno dei suoi episodi localizzati può inscriversi nella storia, se non attraverso gli effetti che induce su tutta la rete in cui è preso.

Forse bisogna anche rinunciare a tutta una tradizione che lascia immaginare che un sapere può esistere solo là dove sono sospesi i rapporti di potere e che il sapere non può svilupparsi altro che fuori dalle ingiunzioni del potere, dalle sue esigenze e dai suoi interessi. Forse bisogna rinunciare a credere che il potere rende pazzi e che la rinuncia al potere è una delle condizioni per diventare saggi. Bisogna piuttosto ammettere che il potere produce sapere (e non semplicemente favorendolo perché lo serve, o applicandolo perché è utile); che potere e sapere si implicano direttamente l'un l'altro; che non esiste relazione di potere senza correlativa costituzione di un campo di sapere, né di sapere che non supponga e non costituisca nello stesso tempo relazioni di potere. Questi rapporti “potere-sapere” non devono essere dunque analizzati a partire da un soggetto di conoscenza che sia libero o no in rapporto al sistema di potere, ma bisogna al contrario considerare che il soggetto che conosce, gli oggetti da conoscere e le modalità della conoscenza sono altrettanti effetti di queste implicazioni fondamentali del potere-sapere e delle loro trasformazioni storiche. In breve, non sarebbe l'attività del soggetto di conoscenza a produrre un sapere utile o ostile al potere, ma, a determinare le forme e i possibili campi della conoscenza sarebbero il potere-sapere, e i processi e le lotte che lo attraversano e da cui è costituito.

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