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MICHEL FOUCAULT - Le parole e le cose. Un’archeologia delle Scienze Umane - Specchio

Nella sua analisi del quadro “Las Meninas” di Velazquez, il filosofo francese Michel Foucault offre un’interessante interpretazione del tema dello specchio come rapporto tra il visibile e l’invisibile.

“In apparenza, questo luogo [del quadro di Velazquez, Las Meninas] è semplice; è di pura reciprocità: guardiamo un quadro da cui un pittore a sua volta ci contempla. Null’altro che un faccia a faccia, occhi che si sorprendono, sguardi dritti che incrociandosi si sovrappongono. E tuttavia questa linea sottile di visibilità avvolge a ritroso tutta una trama complessa d’incertezze, di scambi, di finte. Il pittore dirige gli occhi verso di noi solo nella misura in cui ci troviamo al posto del suo soggetto. Noialtri spettatori, siamo di troppo. Accolti sotto questo sguardo, siamo da esso respinti, sostituiti da ciò che da sempre si è trovato là prima di noi: dal modello stesso. Ma a sua volta lo sguardo del pittore diretto, fuori del quadro, verso il vuoto che lo fronteggia, accetta altrettanti modelli quanti sono gli spettatori che gli si offrono; in questo luogo esatto, ma indifferente, il guardante e il guardato si sostituiscono incessantemente l’uno all’altro. Nessuno sguardo è stabile o piuttosto, nel solco neutro dello sguardo, che trafigge perpendicolarmente la tela, soggetto e oggetto, spettatore e modello invertono le loro parti all’infinito. E il rovescio della grande tela all’estrema sinistra del quadro esercita a questo punto la sua seconda funzione: ostinatamente invisibile, impedisce che possa mai essere reperito e definitivamente fissato il rapporto tra gli sguardi. La fissità opaca che regna da un lato, rende per sempre instabile il gioco delle metamorfosi che al centro si stabilisce tra spettatore e modello. Per il fatto che vediamo soltanto questo rovescio, non sappiamo chi siamo, né ciò che facciamo. Veduti o in atto di vedere? [...] Occorre riconoscere che tale indifferenza non trova riscontro che in quella dello specchio. Esso infatti non riflette nulla di ciò che si trova nello stesso suo spazio; né il pittore che gli volta le spalle, né i personaggi al centro della stanza. Nella pittura olandese era consuetudine che gli specchi svolgessero una funzione di duplicazione: ripetevano ciò che era dato una prima volta nel quadro, ma all’interno d’uno spazio irreale, modificato, ristretto, incurvato. Vi si vedeva la medesima cosa che nella prima istanza del quadro, ma decomposta e ricomposta secondo un’altra legge. Qui lo specchio non dice nulla di ciò che già è stato detto. Eppure la sua posizione è quasi centrale: il suo margine superiore coincide con la linea che divide in due l’altezza del quadro, occupa sul muro di fondo (o per lo meno sulla parte visibile di questo) una posizione mediana; dovrebbe pertanto essere attraversato dalle stesse linee prospettiche del quadro stesso; ci si potrebbe aspettare che uno stesso studio, uno stesso pittore, una stessa tela si disponessero in esso secondo uno spazio identico; potrebbe costituire il duplicato perfetto. [...] Lo specchio assicura una metatesi della visibilità che incide, a un tempo, nello spazio rappresentato nel quadro e nella sua natura di rappresentazione: mostra, al centro della tela, ciò che del quadro è due volte necessariamente invisibile.”

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