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LUIGI ZOJA - Giustizia e bellezza - Giustizia

In questo frammento, Zoja, analizza come evolve il concetto di giustizia nel corso del tempo. Il percorso dei filosofi greci si focalizza sulla ricerca del bene, sul nesso tra giustizia e bellezza.

“La bellezza, raccogliendo approvazioni indiscutibili, aiutava ad assicurare un consenso anche alla morale”.
 
Fra gli studi sulla crisi della modernità, questo saggio si inserisce con forza da una prospettiva inattesa. I nostri antenati greci avevano un sistema di valori indivisibile, fatto di giustizia e bellezza. La bellezza, raccogliendo approvazioni indiscutibili, aiutava ad assicurare un consenso anche alla morale. Una relazione armonica tra bellezza e giustizia sopravviveva nel Rinascimento, insieme a un rapporto tra piazza e palazzo. Ma il protestantesimo e la modernizzazione spaccano questa unione, in nome di una giustizia ascetica e della funzionalità. Il bello, non essendo direttamente utile, si incammina in direzione del passatempo e dell'investimento. Intanto, privatizzazione e razionalizzazione della vita eliminano la piazza, dove si godeva la bellezza gratuitamente e insieme. L'arte si fa specialistica e la massa si abitua alla bruttezza come condizione normale. Ma il cinismo verso i valori della giustizia, che la società di oggi si rimprovera, potrebbe derivare anche dall'aver eliminato quelli della bellezza, da cui la loro radice è inseparabile. 
 
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Una differenza tra l’uomo e gli altri animali è il bisogno di distinguere tra giustizia e ingiustizia. Questo desiderio ha una conseguenza che unifica le forme del conoscere: tutte le scienze dell’uomo contengono una prospettiva etica. Le forme di conoscenza offerte da filosofia, teologia, psicologia, sociologia o antropologia sono facoltative. Possiamo, per esempio, guardare al mondo da una prospettiva teologica, ma anche dichiararci indifferenti, cioè laici che si disinteressano di teologia. Non possiamo, invece, evitare di osservare il mondo da un punto di vista etico. Il fatto che le situazioni in cui ci troviamo siano giuste o ingiuste, prima o poi ci riguarda. Anche se non abbiamo rivolto una domanda sul bene e sul male alle circostanze in cui viviamo, spesso lo sguardo delle circostanze si rivolge verso di noi, interrogandoci sul bene e sul male. E noi non possiamo rispondere che siamo indifferenti. Da Aristotele in avanti, l’etica coincide con lo studio del bene. Il suo scopo originario è assoluto: include gli scopi particolari di tutte le forme di conoscenza e le valuta. È anche filosofico nel vero senso della parola: ricerca di sapienza. Il nostro discorso cercherà di conservare queste origini. Grazie all’autorità millenaria di Aristotele, il primato dell’etica caratterizza il pensiero dell’Occidente. Kant ha proposto un’etica moderna, riconducendo il bisogno di giustizia in due solchi: l’imperativo categorico, che spinge verso norme universali; e l’imperativo pratico, che chiede di considerare l’essere umano come fine e mai come mezzo. Finché il cristianesimo è rimasto la confessione ufficiale e il contenitore culturale dell’Occidente, l’etica restava associata alla religione e affidata alle sue istituzioni. Ma già con l’illuminismo del secolo XVIII le classi colte si secolarizzano. Prima della fine di quel secolo, le Rivoluzioni americana e francese introducono la separazione tra Stato e Chiesa come principio non reversibile. Prima della fine del secolo XIX giunge l’annuncio desolante di Nietzsche: la morte di Dio e la conseguente solitudine dell’uomo europeo. L’uomo, cui viene a mancare il calore del mito e l’affetto divino, d’ora in avanti dovrà prendere da solo la più grave delle decisioni: distinguere il giusto dall’ingiusto. Il compito etico diventa sempre più importante proprio perché l’uomo è solo nell’assolverlo. 

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