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GALILEO GALILEI - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, Giornata prima - Imperfezione

In questo brano della Giornata prima del Dialogo, Galileo Galilei [1564 – 1642] prende in esame, per confutarla, la tradizionale divisione aristotelica tra la Terra corruttibile e i corpi celesti immutabili. Il testo permette di ripercorrere la tesi di Aristotele e, al tempo stesso, di problematizzarla a partire dall’intervento di Sagredo; questi, infatti, sostiene che la perenne trasformazione degli enti sensibili sulla Terra non dovrebbe essere intesa come segno di inferiorità (e dunque di imperfezione) e che solo il terrore della morte ha indotto gli aristotelici a ritenere superiore (e quindi perfetto) cioè che è immutabile e che, di conseguenza, non perisce mai.

Sagredo. Io non posso senza grande ammirazione, e dirò gran repugnanza al mio intelletto, sentir attribuir per gran nobiltà e perfezione a i corpi naturali ed integranti dell’universo questo esser impassibile, immutabile, inalterabile etc., ed all’incontro stimar grande imperfezione l’esser alterabile, generabile, mutabile etc.: io per me reputo la Terra nobilissima ed ammirabile per le tante e sì diverse alterazioni, mutazioni, generazioni etc., che in lei incessabilmente sì fanno; e quando, senza esser suggetta ad alcuna mutazione, ella fusse tutta una vasta solitudine d’arena o una massa di diaspro, o che al tempo del diluvio diacciandosi l’acque che la coprivano fusse restata un globo immenso di cristallo, dove mai non nascesse né si alterasse o si mutasse cosa veruna, io la stimerei un corpaccio inutile al mondo, pieno di ozio e, per dirla in breve, superfluo e come se non fusse in natura, e quella stessa differenza ci farei che è tra l’animal vivo e il morto; ed il medesimo dico della Luna, di Giove e di tutti gli altri globi mondani. Ma quanto più m’interno in considerar la vanità de i discorsi popolari, tanto più gli trovo leggieri e stolti. E qual maggior sciocchezza si può immaginar di quella che chiama cose preziose le gemme, l’argento e l’oro, e vilissime la terra e il fango? e come non sovviene a questi tali, che quando fusse tanta scarsità della terra quanta è delle gioie o de i metalli più pregiati, non sarebbe principe alcuno che volentieri non ispendesse una soma di diamanti e di rubini e quattro carrate di oro per aver solamente tanta terra quanta bastasse per piantare in un picciol vaso un gelsomino o seminarvi un arancino della Cina, per vederlo nascere, crescere e produrre sì belle frondi, fiori così odorosi e sì gentil frutti? È, dunque, la penuria e l’abbondanza quella che mette in prezzo ed avvilisce le cose appresso il volgo, il quale dirà poi quello essere un bellissimo diamante, perché assimiglia l’acqua pura, e poi non lo cambierebbe con dieci botti d’acqua. Questi che esaltano tanto l’incorruttibilità, l’inalterabilità etc., credo che si riduchino a dir queste cose per il desiderio grande di campare assai e per il terrore che hanno della morte; e non considerano che quando gli uomini fussero immortali, a loro non toccava a venire al mondo. Questi meriterebbero d’incontrarsi in un capo di Medusa, che gli trasmutasse in istatue di diaspro (roccia composta da quarzo) o di diamante, per diventar piú perfetti che non sono. Salviati. E forse anco una tal metamorfosi non sarebbe se non con qualche lor vantaggio; ché meglio credo io che sia il non discorrere, che discorrere a rovescio. Simplicio. E’ non è dubbio alcuno che la Terra è molto più perfetta essendo, come ella è, alterabile, mutabile etc., che se la fusse una massa di pietra, quando ben anco fusse un intero diamante, durissimo ed impassibile. Ma quanto queste condizioni arrecano di nobiltà alla Terra, altrettanto renderebbero i corpi celesti più imperfetti, ne i quali esse sarebbero superflue, essendo che i corpi celesti, cioè il Sole, la Luna e l’altre stelle, che non sono ordinati ad altro uso che al servizio della Terra, non hanno bisogno d’altro per conseguire il lor fine, che del moto e del lume. Sagredo. Adunque la natura ha prodotti ed indrizzati tanti vastissimi, perfettissimi e nobilissimi corpi celesti, impassibili, immortali, divini, non ad altro uso che al servizio della Terra, passibile, caduca e mortale? al servizio di quello che voi chiamate la feccia del mondo, la sentina di tutte le immondizie? E a che proposito far i corpi celesti immortali etc., per servire a uno caduco etc.? Tolto via questo uso di servire alla Terra, l’innumerabile schiera di tutti i celesti corpi resta del tutto inutile e superflua, già che non hanno, né possono avere, alcuna scambievole operazione fra di loro, poiché tutti sono inalterabili, immutabili, impassibili: ché se, verbi gratia, la Luna è impassibile, che volete che il Sole o altra stella operi in lei? Sarà senz’alcun dubbio operazione minore assai che quella di chi con la vista o col pensiero volesse liquefare una gran massa d’oro. Inoltre, a me pare che mentre che i corpi celesti concorrano alle generazioni ed alterazioni della Terra, sia forza che essi ancora sieno alterabili; altramente non so intendere che l’applicazione della Luna o del Sole alla Terra per le generazioni fusse altro che mettere a canto alla sposa una statua di marmo, e da tal congiugnimento stare attendendo prole.

  • PATHS - Testo 9 - Imperfezione - Caldiroli.pdf  Scarica
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