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EUGENIO MONTALE - Auto da fé

In inglese to play non significa solo giocare ma anche suonare. In questa riflessione Montale si pone domande sul ruolo delle regole nel gioco della musica, giungendo a proporre una lettura di alcuni fenomeni sociali.

[…] la sostituzione della parola con altro dalla parola, con differenti mezzi espressivi, rende sempre più affannosa la proliferazione dei mezzi visivi e magari acustici. Perché i pittori non dipingono più la figura umana e il paesaggio in cui vive l’uomo? Perché dietro l’uomo e dietro il suo reale habitat è pur sempre nascosta l’insidia della parola. Un’opera d’arte che si possa spiegare, tradurre in termini di linguaggio appartiene ancora al vecchio mondo che si illudeva di spiegare, di giustificare, di capire: è un’opera che non si muove, che nasce vecchia. Così per la musica. Il tradizionale tonalismo era il prodotto di un’umanità ancora pensante e parlante; dietro il do maggiore c’era una concezione della vita che i filosofi e gli scienziati d’oggi respingono. Il passo da compiere era quello di dar corso legale alla dissonanza; e a questo si è arrivati in pochi anni. Non si era tenuto conto, tuttavia, di un fatto: che l’uomo aspira al caos ma non rinunzia al comfort, non rinunzia a un margine di sicurezza fisica. E a questo bisogno è stato facile provvedere imprigionando il caos musicale entro un sistema di regole fisse più o meno matematiche e in ogni caso arbitrarie. Oggi il disordine musicale non è più una minaccia, è un gioco di società. S’intende che un simile new deal musicale lascia inquieti e dissenzienti non pochi musicisti appartenenti all’ala sinistra del movimento modernista. Un giorno mi accadde di ascoltare una musica tutta fatta di sibili e di ruggiti, ma tale da permettere ancora qualche riferimento umano in virtù di un titolo che accennava a episodi della Resistenza. Il pubblico applaudì con moderata convinzione; ma un giovane e già stimato compositore straniero che assisteva al concerto dette in escandescenze e uscì dalla sala gridando: basta con questo umanesimo.

Dal suo punto di vista quello scalmanato aveva ragione: se l’uomo si vergogna di essere uomo è perfettamente logico che egli espunga dalle sue manifestazioni (non dico dal suo linguaggio, perché si tratta di ben altro) ogni riferimento alla sventurata condizione umana.”

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