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ERVING GOFFMAN - Stigma. L'identità negata - Appartenenza II

La società in cui viviamo definisce gli strumenti che ci portano a categorizzare ed etichettare le persone, attribuendo agli individui determinate caratteristiche identitarie. Tale dinamica è stata oggetto d’analisi di Erving Goffman. Egli ha evidenziato che definito con il termine “identità sociale” quell’idea che ognuno di noi si fa nell’immediato di quello che l’individuo estraneo che abbiamo di fronte dovrebbe essere in base alla sua appartenenza a un contesto sociale specifico.

I greci, i quali sembra fossero molto versati nell'uso di mezzi di comunicazione visiva, dettero origine alla parola "stigma" per indicare quei segni fisici che caratterizzano quel tanto di insolito e criticabile della condizione morale di chi li ha. Questi segni venivano incisi col coltello o impressi a fuoco nel corpo e rendevano chiaro a tutti che chi li portava era uno schiavo, un criminale, un traditore, o comunque una persona segnata, un paria che doveva essere evitato specialmente nei luoghi pubblici. Più tardi, dopo il sorgere del Cristianesimo, a questo termine vennero ad aggiungersi due livelli metaforici. Il primo si riferisce ai segni corporei della Grazia, che prendevano la forma di sfoghi della pelle, e il secondo ai segni corporei del disordine fisico. Era quest'ultimo un'allusione medica alla allusione religiosa. Oggi il termine è largamente usato in quello che potremmo chiamare il suo originario senso letterale, ma si applica più alla minorazione che alle prove fisiche di essa. Inoltre ci sono stati dei cambiamenti nel tipo di minorazione che suscita ribrezzo e preoccupazione. Comunque, gli studiosi non hanno fatto grandi sforzi per descrivere le premesse strutturali dello stigma, né per dare una definizione del concetto stesso. Perciò sembra necessario che, all'inizio di questo nostro lavoro, si cerchi di tratteggiarne le definizioni e le premesse generali.

La società stabilisce gli strumenti per categorizzare le persone e tutto quell'insieme di attributi ritenuti ordinari e naturali per definire gli appartenenti a ciascuna delle categorie. I contesti sociali fissano le categorie di persone che è più probabile incontrare in ciascuno di essi. L'abitudine al rapporto sociale in questi contesti stabiliti ci consente, senza una particolare attenzione o analisi approfondita, di trattare con chi abbiamo previsto sarebbe stato presente. Quando ci troviamo davanti un estraneo, è probabile che il suo aspetto immediato ci consenta di stabilire in anticipo a quale categoria appartiene e quali sono i suoi attributi, qual è, in altri termini, la sua «identità sociale». È meglio dire così piuttosto che «status sociale», perché in questo contesto attributi personali come «l'onestà» si presentano insieme ad attributi strutturali come «l'occupazione». Ci serviamo di queste anticipazioni e le trasformiamo in attese normative, in richieste che vengono presentate con la massima sicurezza. È assai tipico il fatto che non ci rendiamo conto di essere proprio noi ad aver posto tali richieste e di non sapere che cosa sono finché sorge una domanda stimolante riguardo alla loro avvenuta o non avvenuta realizzazione. Allora è probabile che ci accorgiamo che, durante tutto il processo, ci siamo basati su certe premesse riguardo a quello che l'individuo che ci sta di fronte dovrebbe essere.

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