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EMIL M. CIORAN – Quaderni 1957-1972 - Autostima

Il filosofo si sofferma sull’importanza che egli attribuisce alla scrittura, alla quale affida il compito fondamentale di tramandare i suoi pensieri. Descrive inoltre il suo rapporto con l’autostima e, consapevole di averne poca, riconosce che la relazione con gli altri rappresenta un’occasione di confronto e di accrescimento della fiducia in se stessi.

Ogni giorno mi rallegro di soffrire sempre meno di non essere niente agli occhi degli uomini.

Per quanto abbia poca stima di me stesso, mi capita di essere indulgente nei miei confronti. Per fortuna ci sono gli altri! I loro difetti mi rendono più giusto verso i miei. Finché avrò vita sarò persuaso che la nostra natura è decaduta. Il che mi impedirà di rompere del tutto con l’essenziale del cristianesimo.

Mai chiedere a qualcuno di scrivere su di me; da parte mia, mai scrivere su chicchessia. (Ah! Gli obblighi, il dramma della gratitudine, ecc. Meglio uccidermi che prostituirmi scrivendo senza convinzione).

Verbalmente posso fare più di una mossa interessata; ma mi è impossibile non appena mi metto a scrivere. Il fatto è che, siccome scrivo poco, credo per forza in ciò che scrivo: per me le parole hanno un peso, una realtà. Mi sento responsabile verso di loro, senza contare che per me ognuna di esse ha il privilegio di essere insostituibile.

Perché non smetto di frequentare Marco Aurelio, Epitteto, il Buddha, lo Zen e il resto? Perché vi ricorro quasi tutti i giorni? Che cosa mi aspetto da loro? - Vedo un’unica risposta: imparare a non soffrire (più) e a minimizzare le mie miserie. Da solo non ce la faccio: ed è proprio questa la mia miseria.

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