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EMIL CIORAN - Lettere al culmine della disperazione (1930 - 1934) - Paura

In questa breve lettera l’autore parte dalla tristezza, dall’inquietudine e dalla sofferenza, affermando di aver fatto un percorso grazie al quale ha potuto apprendere e soprattutto apprezzare il suo destino. Parte dalla paura per la morte e la paragona alla forza che nasce dall’origine dell’esistenza stessa.

Berlino, 27 dicembre 1933

Caro Titel,

parlo di te così spesso con Anton che mai, credo, tu sia più presente e più attuale in un’altra parte del mondo. Era del resto comprensibile che io riallacciassi quelle relazioni di intima amicizia che per due anni avevo tralasciato, a seguito di un progressivo estraniamento. Sono rimasto colpito nel vedere le diverse strade che abbiamo intrapreso, e mi sono un po’ intristito quando, misurando la lontananza che c’è tra me e lui, ho notato la stessa distanza da ciò che ero. Mai nella vita si è più sensibili alle proprie trasformazioni di quando si rivedono dopo qualche tempo gli uomini con cui si è partiti per la stessa strada. Perciò, il fatto di rivederli dopo è per me occasione di tristezza. Sono un individuo che sotto l'influenza della sofferenza si è trasformato totalmente, anche se questa trasformazione, forse, non è stata altro che l’approfondimento illimitato di certi elementi che già esistevano. Questi elementi, divenuti ipertrofici, sono sufficienti per determinare un tutt’altro senso e prospettiva di vita. Credo con frenesia e fanatismo nelle virtù dell’inquietudine e della sofferenza e soprattutto credo che queste, se non mi hanno disperato o avvelenato, abbiano creato in me almeno una coscienza del mio destino, una strana esaltazione per la mia missione. Al culmine della più terribile disperazione, mi prende la gioia di avere un destino, di vivere una vita con la morte e le sue successive trasfigurazioni, di fare di ogni istante un bivio. E sono fiero che la mia vita inizi con la morte, a differenza della vita della maggior parte degli uomini che finisce con la morte, lo sento la morte nel passato e il futuro lo vedo come una specie di illuminazione personale. Non ho paura di morire, ma tutta la mia paura interpreta la morte come una forza che proviene dalle scaturigini dell’esistenza.

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