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ARISTOTELE - “Sulla felicità”, dal libro X dell’’Etica Nicomachea

I brani scelti, tratti dall’Etica Nicomachea di Aristotele, illustrano la posizione di Aristotele sulla felicità come virtù.

6. [La felicità è un’attività fine a se stessa e conforme a virtù].

[30] Dopo aver parlato delle virtù, delle forme dell’amicizia e dei piaceri, resta da delineare uno schizzo della felicità, dal momento che la poniamo come fine delle azioni umane. Se riprendiamo, quindi, quanto abbiamo già detto, la trattazione risulterà più concisa. Abbiamo dunque detto 334 che la felicità non è una disposizione, giacché apparterrebbe anche a chi dormisse per tutta la vita, [35] vivendo una vita solo vegetativa, e a chi si trovasse nelle più grandi disgrazie. Per conseguenza, se queste implicazioni [1176b] non soddisfano, e se, invece, bisogna porre la felicità in una qualche attività, come s’è detto precedentemente 335, e se alcune delle attività sono necessarie e da scegliersi per altro, mentre altre devono essere scelte per se stesse, è chiaro che bisogna porre la felicità tra le attività che meritano di essere scelte per se stesse e [5] non per altro: infatti, la felicità non ha bisogno di nient’altro, cioè basta a se stessa 336. Meritano, poi, di essere scelte per se stesse quelle attività che non richiedono nulla oltre il proprio esercizio. Tali si ritiene comunemente che siano le azioni conformi a virtù: compiere azioni belle e virtuose, infatti, è una delle cose che meritano di essere scelte per se stesse. Lo sono anche i divertimenti piacevoli, giacché gli uomini non [10] li scelgono in vista di altre cose: da essi, infatti, ricevono danno più che vantaggio, perché sono da essi indotti a trascurare il loro corpo ed il loro patrimonio. E la maggior parte degli uomini che sono stimati felici si rifugiano in tali passatempi, ragion per cui alle corti dei tiranni sono apprezzati coloro che in tali passatempi sono spiritosi: essi, infatti, [15] si rendono piacevoli proprio in ciò cui sono rivolte le tendenze dei tiranni, che hanno bisogno di tali uomini. Si ritiene, pertanto, che siano queste le cose che rendono felici, per il fatto che è in esse che passano il tempo libero i potenti, mentre è certo che gli uomini di questo tipo non sono affatto una prova: infatti, non è nell’esercizio del potere assoluto che si realizzano la virtù e l’intelletto, dalle quali procedono le attività che hanno valore morale. Se poi i tiranni, essendo incapaci di gustare [20] un piacere puro e degno di un uomo libero, si rifugiano nei piaceri del corpo, non si deve per questo pensare che questi piaceri siano più degni di essere scelti: infatti, anche i bambini pensano che siano ottime le cose apprezzate da quelli. È ragionevole, quindi, che, come diverse sono per i bambini e per gli uomini le cose che appaiono apprezzabili, così queste siano diverse anche per gli uomini cattivi e per quelli per bene. Come dunque [25] abbiamo spesso detto337, sono apprezzabili e piacevoli le cose che sono tali per l’uomo di valore: per ciascuno l’attività più degna di essere scelta è quella conforme alla disposizione che gli è propria, e, per conseguenza, per l’uomo di valore è quella conforme alla virtù. La felicità, dunque, non sta nel divertimento: e, in effetti, sarebbe strano che il fine dell’uomo fosse un divertimento, e che ci si affaticasse e si soffrisse per tutta la vita [30] al solo scopo di divertirsi. Tutto noi scegliamo, per così dire, in vista di altro, tranne che la felicità: questa, infatti, è fine in sé. Darsi da fare ed affaticarsi per il divertimento è manifestamente stupido e troppo infantile. Divertirsi, invece, per potersi applicare seriamente, come dice Anacarsi 338, sembra essere un atteggiamento corretto: in effetti, il divertimento è simile al riposo, giacché gli uomini, [35] non potendo affaticarsi in continuazione, hanno bisogno di riposo. [1177a] Il riposo non è, quindi, un fine, giacché ha luogo in funzione dell’attività. Si ritiene, poi, che la vita felice sia conforme a virtù: e questa vita implica seria applicazione, e non consiste nel divertimento. Noi diciamo che le cose serie sono migliori di quelle fatte per ridere e per divertimento, e che, in ogni caso, l’attività [5] della parte migliore dell’anima e dell’uomo più buono è quella di maggior valore; e l’attività del migliore è perciò stesso superiore e più idonea a procurare la felicità. Infine, dei piaceri del corpo può godere un uomo qualsiasi, persino uno schiavo, non meno del migliore degli uomini: ma della felicità nessuno farebbe partecipe uno schiavo, a meno che non lo facesse partecipare anche di una vita da uomo libero. In effetti, la felicità non consiste in questi passatempi, [10] ma nelle attività conformi a virtù, come s’è detto anche prima 339.

 

7. [La felicità consiste soprattutto nell’attività contemplativa].

Ma se la felicità è attività conforme a virtù, è logico che lo sia conformemente alla virtù più alta: e questa sarà la virtù della nostra parte migliore 340. Che sia l’intelletto o qualche altra cosa ciò che si ritiene che per natura governi e guidi [15] e abbia nozione delle cose belle e divine, che sia un che di divino o sia la cosa più divina che è in noi, l’attività di questa parte secondo la virtù che le è propria sarà la felicità perfetta. S’è già detto341, poi, che questa attività è attività contemplativa. Ma si ammetterà che questa affermazione è in accordo sia con le nostre precedenti affermazioni sia con la verità. [20] Questa attività, infatti, è342 la più alta (giacché l’intelletto è la più alta di tutte le realtà che sono in noi, e gli oggetti dell’intelletto sono i più elevati); inoltre, è la più continua343 delle nostre attività: infatti, possiamo contemplare in maniera più continua di quanto non possiamo fare qualsiasi altra cosa. Noi pensiamo che il piacere sia strettamente congiunto con la felicità 344, ma la più piacevole delle attività conformi a virtù è, siamo tutti d’accordo, quella conforme alla sapienza; [25] in ogni caso, si ammette che la filosofia ha in sé piaceri meravigliosi per la loro purezza e stabilità, ed è naturale che la vita di coloro che sanno trascorra in modo più piacevole che non la vita di coloro che ricercano. Quello che si chiama "autosufficienza" si realizzerà al massimo nell’attività contemplativa 345. Delle cose indispensabili alla vita hanno bisogno sia il sapiente, sia il giusto, sia tutti gli altri uomini; [30] ma una volta che sia sufficientemente provvisto di tali beni, il giusto ha ancora bisogno di persone verso cui e con cui esercitare la giustizia, e lo stesso vale per l’uomo temperante, per il coraggioso e per ciascuno degli altri uomini virtuosi, mentre il sapiente anche quando è solo con se stesso può contemplare, e tanto più quanto più è sapiente; forse vi riuscirà meglio se avrà dei collaboratori, ma tuttavia egli è assolutamente autosufficiente. [1177b] E questa sola attività si riconoscerà che è amata per se stessa 346, giacché da essa non deriva nulla oltre il contemplare, mentre dalle attività pratiche traiamo un vantaggio, più o meno grande, al di là dell’azione stessa. Si ritiene che la felicità consista nel tempo libero: [5] infatti, noi ci impegniamo per essere poi liberi, e facciamo la guerra per poter vivere in pace. Dunque, l’attività delle virtù pratiche si esercita nell’ambito della politica ed in quello della guerra, ma le azioni relative a questi ambiti sono ritenute affatto impegnative, ed in modo totale le attività militari (giacché nessuno sceglie di fare la guerra per la guerra, [10] e nessuno prepara la guerra per la guerra: sarebbe giudicato un vero e proprio maniaco assassino, se degli amici facesse dei nemici per provocare battaglie e uccisioni!). Anche l’attività del politico è affatto impegnativa, e, oltre alla attività civica in quanto tale, mira a ricavare poteri ed onori o almeno a procurare la felicità per sé e per i suoi concittadini, felicità [15] che è differente dalla attività politica, e che, chiaramente, anche ricerchiamo in quanto ne è differente. Se, dunque, tra le azioni conformi alle virtù, quelle relative alla politica ed alla guerra eccellono per bellezza e grandezza, e se queste azioni sono affatto impegnative, mirano a qualche fine e non sono degne di essere scelte per se stesse; se, d’altra parte, si riconosce che l’attività dell’intelletto si distingue per dignità [20] in quanto è un’attività teoretica, se non mira ad alcun altro fine al di là di se stessa, se ha il piacere che le è proprio (e questo concorre ad intensificare 347 l’attività), se, infine, il fatto di essere autosufficiente, di essere come un ozio, di non produrre stanchezza, per quanto è possibile ad un uomo e quant’altro viene attribuito all’uomo beato, si manifestano in connessione con questa attività: allora, per conseguenza, questa sarà la perfetta felicità dell’uomo, [25] quando coprirà l’intera durata di una vita 348: giacché non c’è nulla di incompleto tra gli elementi della felicità. Ma una vita di questo tipo sarà troppo elevata per l’uomo: infatti, non vivrà cosi in quanto è uomo, bensì in quanto c’è in lui qualcosa di divino: e di quanto questo elemento divino eccelle sulla composita natura umana, di tanto la sua attività eccelle sull’attività conforme all’altro tipo di virtù. [30] Se, dunque, l’intelletto in confronto con l’uomo è una realtà divina 349, anche l’attività secondo l’intelletto sarà divina in confronto con la vita umana. Ma non bisogna dar retta a coloro che consigliano all’uomo, poiché è uomo e mortale, di limitarsi a pensare cose umane e mortali; anzi, al contrario, per quanto è possibile, bisogna comportarsi da immortali e far di tutto per vivere secondo la parte più nobile che è in noi. Infatti, sebbene [1178a] per la sua massa sia piccola, per potenza e per valore è molto superiore a tutte le altre. Si ammetterà, poi, che ogni uomo si identifica con questa parte, se è vero che è la sua parte principale e migliore 350. Sarebbe allora assurdo che egli non scegliesse la vita che gli è propria ma quella che è propria di qualcun altro. Ciò che abbiamo detto prima 351 [5] verrà a proposito anche ora: ciò, infatti, che per natura è proprio di ciascun essere, è per lui per natura la cosa più buona e più piacevole; e per l’uomo, quindi, questa cosa sarà la vita secondo l’intelletto, se è vero che l’uomo è soprattutto intelletto 352. Questa vita, dunque, sarà anche la più felice.

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