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ALESSANDRO MANZONI – I promessi sposi

Questo testo – tratto dal capitolo XXVII de I promessi sposi – si focalizza su un aspetto del capolavoro manzoniano: la ricostruzione storica e la descrizione della peste di Milano nel Seicento, le cui analogie con gli eventi legati alla pandemia del Covid-19 fanno risaltare la straordinaria attualità delle pagine. L’esperienza della lettura – all’interno di un contesto che rimanda agli eventi di oggi e che consente il rispecchiamento da parte del lettore – rende significativo e pregnante il processo di apprendimento anche di un testo letterario così articolato e complesso. L’insegnante può selezionare anche altri passaggi del romanzo, a seconda del taglio e del focus sul quale preferisce concentrare l’attenzione: ad esempio su come i fatti della storia entrano a far parte di un’opera di finzione letteraria; su come – anche all’epoca che Manzoni descrive – esistessero i cosiddetti negazionisti; sul metodo che lo scrittore adopera per lavorare sulle fonti storiche nel momento in cui deve rappresentare lo sfondo di una serie di eventi; sulle condizioni sanitarie dell’epoca, sui tentativi per limitare il contagio, sulla ricerca della cause e dei responsabili. I capitoli manzoniani offrono anche molti spunti per un lavoro trasversale sulla storia delle epidemie di peste nella letteratura (Boccaccio); sulla loro rappresentazione iconografica; sulla storicita delle conoscenze medico-scientifiche; sui comportamenti sociali e sulla psicosi collettiva che alimentarono il «processo agli untori» (Storia della colonna infame).

Così passo l’inverno e la primavera: e già da qualche tempo il tribunale della sanità andava rappresentando a quello della provvisione il pericolo del contagio, che sovrastava alla città, per tanta miseria ammontata in ogni parte di essa; e proponeva che gli accattoni venissero raccolti in diversi ospizi. Mentre si discute questa proposta, mentre s’approva, mentre si pensa ai mezzi, ai modi, ai luoghi, per mandarla ad effetto, i cadaveri crescono nelle strade ogni giorno più; a proporzion di questo, cresce tutto l’altro ammasso di miserie. Nel tribunale di provvisione vien proposto, come più facile e più speditivo, un altro ripiego, di radunar tutti gli accattoni, sani e infermi, in un sol luogo, nel lazzeretto, dove fosser mantenuti e curati a spese del pubblico; e così vien risoluto, contro il parere della Sanità, la quale opponeva che, in una così gran riunione, sarebbe cresciuto il pericolo a cui si voleva metter riparo.

Il lazzeretto di Milano (se, per caso, questa storia capitasse nelle mani di qualcheduno che non lo conoscesse, né di vista né per descrizione) è un recinto quadrilatero e quasi quadrato, fuori della città, a sinistra della porta detta orientale, distante dalle mura lo spazio della fossa, d’una strada di circonvallazione, e d’una gora che gira il recinto medesimo. I due lati maggiori son lunghi a un di presso cinquecento passi; gli altri due, forse quindici meno; tutti, dalla parte esterna, son divisi in piccole stanze d’un piano solo; di dentro gira intorno a tre di essi un portico continuo a volta, sostenuto da piccole e magre colonne.

Le stanzine eran dugent’ottantotto, o giu di lì: a’ nostri giorni, una grande apertura fatta nel mezzo, e una piccola, in un canto della facciata del lato che costeggia la strada maestra, ne hanno portate via non so quante. Al tempo della nostra storia, non c’eran che due entrature; una nel mezzo del lato che guarda le mura della città, l’altra di rimpetto, nell’opposto. Nel centro dello spazio interno, c’era, e c’è tutt’ora, una piccola chiesa ottangolare.

La prima destinazione di tutto l’edifizio, cominciato nell’anno 1489, co’ danari d’un lascito privato, continuato poi con quelli del pubblico e d’altri testatori e donatori, fu, come l’accenna il nome stesso, di ricoverarvi, all’occorrenza, gli ammalati di peste; la quale, già molto prima di quell’epoca, era solita, e lo fu per molto tempo dopo, a comparire quelle due, quattro, sei, otto volte per secolo, ora in questo, ora in quel paese d’Europa, prendendone talvolta una gran parte, o anche scorrendola tutta, per il lungo e per il largo. Nel momento di cui parliamo, il lazzeretto non serviva che per deposito delle mercanzie soggette a contumacia.

Ora, per metterlo in libertà, non si stette al rigor delle leggi sanitarie, e fatte in fretta in fretta le purghe e gli esperimenti prescritti, si rilasciaron tutte le mercanzie a un tratto. Si fece stender della paglia in tutte le stanze, si fecero provvisioni di viveri, della qualità e nella quantità che si potè; e s’invitarono, con pubblico editto, tutti gli accattoni a ricoverarsi lì.

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