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AGOSTINO - Confessioni - libro secondo - Amore II

In questo brano Agostino, mediante il dialogo interiore attraversa la questione dell’esperienza dell’amore in giovane età. Monologo interiore profondo – che mostra la finezza e la forza analitica del filosofo – l’inizio del secondo libro presenta il ruolo che la fede e la ricerca del bene superiore e dell’amore di Dio occupano nella filosofia di Agostino.

1.1. Voglio ricordare le passate brutture e le devastazioni inflitte dalla carne all’anima: non perché io le ami ma per amare te, Dio mio. È per amore del tuo amore che lo faccio, e ripercorro le vie della mia infamia nell’amarezza di questa rimemorazione: perché tu possa addolcirmela, dolcezza senza inganno, tu felice dolcezza senza angosce. Che mi raccogli dalla dispersione e ricomponi i mille pezzi in cui mi sono frantumato, quando volgendo le spalle all’uno – a te – sono svanito nel molteplice. Vi fu un tempo, l’adolescenza, in cui bruciavo dalla voglia di provare le cose più basse, e fino in fondo: e mi lasciai pullulare una selva di ombrosi amori, e la mia bella forma ne fu devastata e qualcosa marcì dentro di me ai tuoi occhi, mentre a me stesso piacevo e volevo piacere agli occhi degli uomini.

[Gli amori dell’adolescenza]

2.2. Niente mi deliziava quanto amare ed essere amato. Ma non ne mantenevo la misura, da anima ad anima, il luminoso limite dell’amicizia. Come una nebbia saliva dal limo del desiderio sensuale e dagli umori della pubertà e mi oscurava, mi offuscava il cuore, fino a che il chiaro cielo dell’affetto si confondeva alla foschia dell’erotismo. E tutt’e due m’accendevano dentro un solo incendio e cacciavano allo sbaraglio improvviso delle passioni quella malcerta età e la sprofondavano in un pozzo di vergogna. La tua collera era cresciuta sopra di me, e non me ne accorgevo. Mi lasciavo assordare dallo stridore di catena della mia mortalità, pena per l’orgoglio dell’anima, e andavo via più lontano da te che mi lasciavi andare, ed ero agitato e traboccante e colavo fuori ribollendo di voglie, e tu tacevi. Mia tardiva allegrezza! Tacevi allora, e io lontano da te sempre più mi perdevo in mille e mille sterili semi di dolori, superbo nell’abiezione e nella fatica inquieto.

3. Nessuno avrebbe potuto porre un limite alla mia affannosa tristezza e volgere a buon uso le fugaci bellezze delle infime cose, e indicare una meta al piacere che mi davano, fino a che i marosi della mia età si frangessero sulla spiaggia del matrimonio, se non potevano placarsi e contenersi entro i limiti della procreazione di figli. Come prescrive la tua legge, Signore che plasmi perfino la propaggine della nostra morte, tu che puoi temperare con mano leggera le spine che nel tuo paradiso non c’erano. Perché non è lontana da noi la tua onnipotenza, anche quando siamo lontani da te. Fossi stato più lucido! Avrei certo avvertito il tuono delle tue nubi: Costoro avranno tribolazioni nella carne, e io vorrei risparmiarvele, e: È bene per l’uomo non toccare donna! E: Chi è senza moglie pensa alle cose di Dio, e a piacere a Dio; ma chi è vincolato dal matrimonio pensa alle cose del mondo, e a piacere alla moglie. Sì, fossi stato più lucido avrei prestato ascolto a queste voci, e una volta castrato per amore del regno dei cieli più felice mi sarebbe stata l’attesa dei tuoi abbracci.

4. Infelice: invece ruppi gli argini, abbandonandomi a quel mio impeto fluviale, e ti lasciai e oltrepassai tutti i limiti della tua legge e non scampai al tuo staffile – e chi vi scampa fra i mortali? Tu eri sempre là, con feroce tenerezza, a tormentarmi, a cospargere di amarezza e disgusto tutte le mie allegrie di seduttore, perché cercassi l’allegria che non disgusta. E ci fossi riuscito, là niente avrei trovato all’infuori di te, Signore, di te che mascheri di dolore la legge e ci colpisci per guarirci e ci uccidi per non lasciarci morire lontano da te. Dov’ero, in quale esilio lontano dalle dolcezze della tua casa, in quel sedicesimo anno d’età della mia carne? Fu allora che si impadronì di me (e io mi ero consegnato con le mani legate) una frenesia di piacere amoroso, disonore dell’uomo quando è sfrenato, illecito per le tue leggi. I miei non si curarono di arginare col matrimonio quel fiume in piena che ero: la loro unica preoccupazione era che imparassi a comporre i discorsi migliori e a persuadere con l’arte oratoria.

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