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PLATONE - Liside, 218c-220b, 220e-22a - Amicizia

Platone, in età giovanile, ha dedicato un breve dialogo all’amicizia: il Liside. In esso il filosofo mette in luce come l’amicizia sia una forma di desiderio che arreca arricchimento in chi la possiede. In particolare in queste pagine si sofferma sulla causa e il fine dell’amicizia, mostrando come il male sia il punto di partenza del processo e il bene il punto di arrivo.

Anch'io ero molto contento, come un cacciatore che è felice di ciò che ha cacciato, ma poi, non so come, mi venne lo stranissimo sospetto che non fossero vere le nostre conclusioni e subito dissi crucciato: “Ahimè, Liside e Menesseno, forse è un sogno il fatto che ci siamo arricchiti di conoscenza”. “Perché?”, chiese Menesseno. “Temo”, dissi io, “che a proposito dell'amicizia siamo incorsi in ragionamenti come quelli che fanno i ciarlatani”. “Come?”, chiese. “Procediamo così nel ragionamento”, dissi io: “chi è amico è amico di qualcuno o no?” “Per forza”, rispose. “Dunque lo è senza nessuno scopo e senza nessuna causa o per qualche scopo e per qualche causa?” “Per qualche scopo e a causa di qualcosa”. “E quella cosa in vista della quale l'amico è amico dell'amico, è amica anch'essa o non è né amica né nemica?” “Non ti seguo del tutto”, rispose. “è naturale”, dissi, “ma forse così mi seguirai e, credo, anche io saprò meglio ciò che dico. Il malato, dicevamo poco fa, è amico del medico; non è così?” “Sì”. “E dunque è amico del medico a causa della malattia e in vista della salute da riacquistare?” “Sì”. “E la malattia è un male?” “E come potrebbe non esserlo?” “E la salute”, chiedevo, “è un bene o un male o no” Dicevamo dunque che, a quanto sembra, il corpo che non è né buono né cattivo, a causa della malattia, cioè a causa del male, è amico della medicina, e la medicina è un bene; e la medicina ottiene l'amicizia in vista della salute, e la salute è un bene. Non è così?” “Sì”. “E la salute è una cosa amica o no?” “è una cosa amica”. “E la malattia è una cosa nemica”. “Certo”. “Dunque ciò che non è né cattivo né buono, a causa di ciò che è cattivo e nemico, è amico del bene in vista di ciò che è buono e amico”. “Sembra”. “Dunque ciò che è amico è amico in vista di ciò che è amico e a causa di ciò che è nemico”. “Così pare”. “Bene”, dissi: “dal momento che siamo arrivati a questo, ragazzi, facciamo attenzione a non ingannarci. Infatti lascio stare il fatto che ciò che è amico sia diventato amico di ciò che è amico e che il simile sia amico del simile - cosa, questa, che abbiamo detto essere impossibile -, tuttavia badiamo a questo, che non ci inganni ciò che ora è stato detto. La medicina, diciamo, è una cosa amica in vista della salute”. “Sì “. “Dunque anche la salute è cosa amica?” “Certo”. “Se dunque è amica, lo è in vista di qualcosa”. “Sì”. “Di una cosa amica, se sarà la conseguenza dell'ammissione precedente”. “Certo”. “Dunque anche ciò sarà cosa a sua volta amica in vista di una cosa amica?” “Sì”. “Quindi non è necessario che rinunciamo a procedere così o arriviamo a un principio che non si riferirà più a un'altra cosa amica, ma giungerà a quella che è la prima cosa amica in vista della quale diciamo che anche tutte le altre cose sono amiche?” “è necessario”. “Questo è ciò che voglio dire: badiamo al fatto che non ci ingannino tutte le altre cose che abbiamo detto essere amiche in vista di quella e che sono come sue immagini e facciamo attenzione che si tratti di quella prima cosa che è veramente amica. Infatti riflettiamo in questo modo: quando qualcuno tiene qualcosa in grande considerazione, ad esempio in taluni casi un padre che antepone suo figlio a tutti gli altri beni, egli che è tale da considerare suo figlio più importante di tutto, non apprezzerà forse molto anche qualche altra cosa? Per esempio, se si rendesse conto che il figlio ha bevuto la cicuta, non terrebbe in grande considerazione il vino, se lo ritenesse utile per salvare il figlio?” “Sì, certo. E allora?”, domandò. “Dunque apprezzerebbe anche il recipiente in cui ci fosse quel vino?” “Certo”. “E allora non tiene forse in maggior considerazione una tazza d'argilla rispetto a suo figlio o tre cotile (19) di vino più di suo figlio? O le cose forse stanno così: tutta la sua attenzione non è rivolta a questi oggetti predisposti in vista di qualcos'altro, ma a quel fine in vista del quale sono tutti predisposti. Nonché spesso diciamo di apprezzare molto l'oro e l'argento, ma forse la verità non è per niente questa, e ciò che teniamo in grande considerazione è quello che appare come ciò in vista del quale si predispongono l'oro e ogni altro oggetto. Diremo dunque così?” “Certo”. “E dunque lo stesso ragionamento non vale anche per ciò che è amico? Infatti quando definiamo cose amiche quelle che per noi lo sono in vista di un'altra cosa amica, ci riferiamo a esse evidentemente con una parola sola; ma è probabile che veramente amica sia proprio quella mèta alla quale tendono tutte le cosiddette amicizie”. “Probabilmente è così”, disse. “Dunque ciò che è realmente amico non lo è in vista di un'altra cosa?” “è vero” è nessuna delle due cose?” “è un bene”, rispose. “Ci siamo sbarazzati anche di questo problema: l'amico è amico ma non in vista di una cosa amica. Ma dunque il bene è ciò che è amico?” “A me pare di sì”. […] “Per Zeus!”, dissi io. “Se il male sparisce, non ci sarà né fame né sete né altri mali simili? O la fame ci sarà, se ci sono gli uomini e gli altri esseri viventi, ma non sarà dannosa? E la sete e gli altri desideri ci saranno, ma non saranno cattivi, poiché il male è scomparso? O è ridicolo chiedersi cosa ci sarà o non ci sarà allora? Infatti chi può saperlo? Ma questo dunque sappiamo, che avere fame può essere ora dannoso, ora utile, o no?” “Certo”. “Dunque avere sete e tutti gli altri desideri di questo genere talvolta possono essere utili, talvolta dannosi e talvolta né l'uno né l'altro?” “Certo”. “Pertanto se i mali spariscono, perché devono scomparire con essi anche le cose che non sono mali?” “Per nessun motivo”. “Dunque se i mali spariscono, ci saranno i desideri che non sono né buoni nè cattivi”. “Sembra”. “E dunque possibile che chi desidera e ama non sia amico di chi desidera e ama?” “Non mi sembra”. “Dunque, a quanto pare, ci saranno alcune cose amiche, anche se i mali spariscono”. “Sì”. “E se il male fosse causa dell'amicizia, sparito questo, una cosa non potrebbe certo essere amica di un'altra: infatti, venuta meno la causa, sarebbe impossibile che esistesse ancora ciò di cui questa era la causa”. “Dici bene”. “Dunque noi avevamo convenuto che ciò che è amico ama qualcosa e a causa di qualcosa: e allora non avevamo creduto che ciò che non è né buono né cattivo amasse il bene a causa del male?” “è vero”. “Ora, invece, a quanto pare, sembra essere altra la causa dell'amare e dell'essere amato”. “A quanto pare”. “Dunque realmente, come dicevamo poco fa, il desiderio è causa dell'amicizia, e ciò che desidera è amico di ciò che è desiderato, quando lo desidera, mentre ciò che prima dicevamo essere amico era una chiacchiera o una sorta di un lungo elaborato poema?” “Forse”, disse. “Tuttavia”, dissi, “ciò che desidera desidera ciò di cui è privo, o non è così?” “Sì”. “E quindi ciò che è mancante è amico dì ciò che manca?” “Così credo”. “Ed è privo di ciò che gli è stato eventualmente sottratto”. “E come no?” “Allora, a quanto pare, l'amore, l'amicizia e il desiderio lo sono di ciò che è proprio, come sembra, Menesseno e Liside”. Assentirono. […]

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