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JOHN LOCKE - Saggio sull'intelletto umano, Libro II, Cap 23 e 27 - Zombi

La conoscenza inizia e dipende dall’esperienza che acquisisce i dati (primari) che la mente non riesce a produrre da sola. Tutto ciò che viene percepito e catturato dai sensi viene definito nel pensiero di Locke come idea semplice. Le idee semplici non si creano e non si distruggono. Più idee semplici si aggregano formando idee complesse. Le idee complesse sono legate tra loro grazie all’attività della mente.

 

Poiché, come ho già spiegato, la mente è provvista di un gran numero di idee semplici, che le vengono recate dai sensi così come si trovano nelle cose esterne, o dalla riflessione sulle sue proprie operazioni, essa osserva altresì che un certo numero di queste idee semplici vanno costantemente assieme; e poiché si presume che esse appartengano ad una medesima cosa, e le parole sono adatte alla comune comprensione, e di esse si fa uso per un rapido scambio, queste idee, così riunite in un solo soggetto, vengono chiamate con un nome solo. Ma poi, per disattenzione, siamo portati a parlarne considerandola come una sola idea semplice, mentre invece si tratta di una complicazione di molte idee messe insieme. E questo, come ho già detto, perché non sappiamo immaginare in qual modo queste idee semplici possono sussistere da sole, e pertanto ci abituiamo a supporre un qualche substratum nel quale esse effettivamente sussistano e di cui siano il risultato: e quello chiamiamo, perciò, sostanza. 

Per cui, se alcuno voglia consultare se stesso nei riguardi della sua nozione di una pura sostanza in generale, troverà che non ne possiede altra idea se non quella di una supposizione di un qualche sconosciuto sostegno di quelle qualità che sono capaci di produrre in noi delle idee semplici; qualità che vengono comunemente chiamate accidenti. Se a qualcuno venisse domandato, quale sia il soggetto cui si trovano inerenti il colore o il peso, non avrebbe niente da dire se non che si tratta di quelle estese e solide; e se gli si domandasse a che cosa sia inerente questa solidità e questa estensione, egli non si troverebbe in una posizione molto migliore di quell’indiano già ricordato il quale, dopo che ebbe detto che il mondo è sostenuto da un grande elefante, si sentì chiedere su che cosa poggiasse l’elefante; al che rispose: su una grande tartaruga; ma poiché si insisteva per sapere che cosa sostenesse questa tartaruga dalla schiena così ampia, rispose: qualcosa che non sapeva che fosse. E così qui, come in tutti gli altri casi in cui usiamo certe parole senza avere idee chiare e distinte, noi parliamo come dei fanciulli: i quali, richiesti di che mai sia una data cosa, che non conoscono, prontamente danno questa soddisfacente risposta, che è qualcosa: il che invero non significa altro, quando viene così usato, sia dai bambini che dagli adulti, se non che ignorano di che si tratti; e che della cosa che pretendono di conoscere, e di parlare, essi non hanno la minima idea distinta, e perciò ne sono perfettamente ignoranti e all’oscuro. […] 

E perciò quando parliamo o pensiamo di una qualunque specie particolare di sostanze corporee, come il cavallo, la pietra, ecc., sebbene l’idea che abbiamo di ciascuna di esse non sia che la complicazione o collezione di quelle varie idee semplici di qualità sensibili, che siamo soliti trovare unite nelle cose chiamate cavallo o pietra, tuttavia, siccome non riusciamo a concepire in qual modo esse possano sussistere da sole, né l’una né l’altra, supponiamo che in esse esista un comune soggetto da cui siano sostenute; e denotiamo questo soggetto con il nome di sostanza, sebbene sia certo che non abbiamo alcun’idea chiara o distinta di questa cosa che supponiamo sia un sostegno.

Lo stesso accade nei riguardi delle operazioni della mente, ossia il pensare, ragionare, temere, ecc., le quali, dovendo concludere che non sussistono per se stesse, né intendendo come possano appartenere al corpo o essere prodotte da esso, siamo portati a pensare che siano le azioni di qualche altra sostanza, che chiamiamo spirito [mente, anima]. E da ciò appare tuttavia evidente che, non avendo altra idea o nozione della materia, se non di qualcosa in cui sussistono le molte qualità sensibili che colpiscono i nostri sensi; supponendo una sostanza nella quale sussistano il pensare, il conoscere, il dubitare, il potere di muoversi, ecc., otteniamo una nozione della sostanza dello spirito altrettanto chiara quanto quella che abbiamo del corpo: l’una supponiamo che sia il sostrato di quelle idee semplici che riceviamo dall’esterno (senza poi sapere che cosa questo sostrato sia); e l’altra supponiamo che sia il sostrato di quelle operazioni che sperimentiamo interiormente in noi stessi (ancor qui, con una eguale ignoranza di ciò che esso sia).  […]

Lo stesso essere delle cose è un’altra occasione che lo spirito prende sovente per fare un confronto, cioè quando consideriamo qualsiasi cosa in quanto esiste ad un determinato tempo e luogo, e la confrontiamo con la stessa cosa che esiste ad un altro tempo, e con ciò formiamo le idee di identità e diversità. Quando vediamo qualcosa che sta in un posto in un certo istante del tempo, siamo sicuri (di qualunque cosa si tratti) che è quella cosa stessa, e non un’altra che in quell’istante esista in altro luogo, per simile e indistinguibile che questa possa essere sotto ogni altro rispetto; e in ciò consiste l’identità, quando le idee cui si attribuisce non sono affatto diverse da ciò che erano in quel momento in cui consideravamo la loro esistenza precedente, e con le quali confrontiamo quella presente. Infatti, poiché non troviamo mai, né concepiamo che sia possibile, che due cose della stessa specie esistano nello stesso luogo allo stesso tempo, concludiamo correttamente che, qualunque cosa esista ovunque a un dato tempo, esclude tutto ciò che è della stessa specie ed è quindi se stessa e solo se stessa. Perciò quando domandiamo se qualcosa sia la stessa o no, la domanda si riferisce sempre a qualcosa che esisteva in un dato tempo e luogo e di cui era certo che, in quell’istante, era identica con se stessa e con nessun’altra. Da ciò segue che una cosa non può avere due inizi di esistenza né due cose un solo inizio, giacché è impossibile che due cose della stessa specie siano o esistano nello stesso istante nello stesso luogo, o che la stessa cosa esista in luoghi diversi. Quindi ciò che ha avuto un solo inizio è la stessa cosa e ciò che ha avuto un inizio diverso da quello, nel tempo e nello spazio, non è la stessa ma una cosa diversa. La difficoltà che è sorta intorno a questa relazione deriva dalla scarsa cura e attenzione adoperate per avere nozioni precise delle cose alle quali si attribuisce. […]

Questo mostra anche in che cosa consiste l’identità dello stesso uomo: cioè nella partecipazione alla stessa vita continua di particelle sempre fuggevoli di materia, unite allo stesso corpo organizzato in una successione vitale. Chi vorrà situare l’identità dell’uomo in qualunque altra cosa che non sia, come per quella degli animali, in un corpo organizzato in modo idoneo, preso in un istante qualsiasi e da lì continuato in una sola organizzazione di vita con varie particelle succedentisi fuggevolmente e unite ad esso, troverà difficile far sì che un embrione, un uomo adulto, un pazzo e un savio, siano lo stesso uomo in base a qualsiasi ipotesi che non renda possibile che Seth, Ismaele, Socrate, Pilato, Sant’Agostino e Cesare Borgia siano lo stesso uomo. Infatti, se l’identità della sola anima fa sì che un uomo sia lo stesso uomo, e se non c’è nulla nella natura della materia per cui lo stesso spirito individuale non possa essere unito a diversi corpi, sarà possibile che quegli uomini, che hanno vissuto in tempi diversi e che avevano temperamenti diversi, fossero lo stesso uomo: un modo di parlare che deve derivare da un uso molto strano della parola uomo, applicata ad un’idea dalla quale sono esclusi il corpo e la forma. E questa maniera di parlare si accorderebbe ancora peggio con le nozioni di quei filosofi che ammettono la trasmigrazione e credono che le anime degli uomini, per i loro cattivi comportamenti, possano essere declassate e occupare corpi di bestie, quale dimora a loro adatta, con organi adatti alla soddisfazione delle loro inclinazioni brutali. Tuttavia non credo che nessuno, anche se potesse essere sicuro che l’anima di Eliogabalo fosse in uno dei suoi maiali, potrebbe tuttavia dire che quel maiale è un uomo oppure Eliogabalo.

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