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ARISTOTELE - Sulla libertà, dal libro III dell’Etica Nicomachea - Libertà II

Aristotele dedica un’ampia pagina al problema della scelta tra bene e male nell’Etica Nicomachea, tentando di mostrare come l’essere umano, con ragione e volontà, possa raggiungere il bene. Il brano fornito ai ragazzi vuole mostrare come il filosofo concepisce la libertà come autodeterminazione dell’essere umano. Esso si presta anche al confronto con Platone.

“Giacché, dunque, la virtù ha a che vedere sia con passioni sia con azioni, e giacché per le passioni e le azioni volontarie ci sono la lode e il biasimo, mentre per le involontarie c’è il perdono, e talora anche la pietà, definire il volontario e l’involontario è indubbiamente necessario per coloro che studiano la virtù, e utile anche ai legislatori per stabilire [35] le ricompense onorifiche e le punizioni.

Si ammette, dunque, comunemente, che sono involontari gli atti [1110a] compiuti per forza o per ignoranza. Forzato è l’atto il cui principio è esterno, tale cioè che chi agisce, ovvero subisce, non vi concorre per nulla: per esempio, se si è trascinati da qualche parte da un vento o da uomini che ci tengono in loro potere. Le azioni che si compiono per paura di mali più grandi oppure per [5] qualcosa di bello (per esempio, nel caso in cui un tiranno ci ordinasse di compiere qualche brutta azione tenendo in suo potere i nostri genitori e i nostri figli, sì che se noi la compiamo essi si salveranno, se no, morranno) è discutibile se siano involontarie o volontarie. Qualcosa di simile accade anche quando si gettano fuori bordo i propri averi durante le tempeste, giacché in generale nessuno butta via [10] volontariamente, ma chiunque abbia senno lo fa per salvare se stesso e tutti gli altri. Simili azioni, dunque, sono miste, ma assomigliano di più a quelle volontarie, giacché sono fatte oggetto di scelta nel momento determinato in cui sono compiute e il fine dell’azione dipende dalle circostanze. Per conseguenza, anche il volontario e l’involontario devono essere determinati in riferimento al momento in cui si agisce. [15] In questo caso si agisce volontariamente, giacché il principio che muove come strumenti le parti del corpo in simili azioni è nell’uomo stesso: e le cose di cui ha in se stesso il principio, dipende da lui farle o non farle. Tali azioni, dunque, sono volontarie, anche se in assoluto forse sono involontarie, giacché nessuno sceglierebbe alcuna delle azioni di tal genere per se stessa. Per [20] azioni simili talora si è anche lodati, quando si sopporta qualcosa di brutto o di doloroso in cambio di cose grandi e belle; in caso contrario si è biasimati, giacché sopportare le cose più vergognose per niente di bello o di proporzionato è da uomo miserabile. In alcuni casi, poi, non si dà lode, ma perdono: quando uno compie [25] un’azione che non deve, ma per evitare mali che oltrepassano l’umana natura e che nessuno potrebbe sopportare. Ma ad alcuni atti, senza dubbio, non è possibile lasciarsi costringere, ma piuttosto bisogna morire pur tra terribili sofferenze: infatti, i motivi che hanno costretto l’Alcmeone di Euripide 53 ad uccidere la propria madre sono manifestamente risibili. È difficile, talvolta, discernere [30] che cosa ed a quale costo si deve scegliere e che cosa e per qual vantaggio si deve sopportare, ma ancor più difficile perseverare nelle decisioni prese: come, infatti, per lo più, ciò che ci aspetta è doloroso, ciò cui si è costretti è vergognoso, ragion per cui si meriterà lode o biasimo a seconda che ci si sia lasciati costringere oppure no. [1110b] Quali azioni, dunque, si devono chiamare forzate? Non dovremo dire che in senso assoluto lo sono quando la causa risiede in circostanze esterne e quando chi agisce non vi concorre per niente? Le azioni che per se stesse sono involontarie, ma che in un determinato momento ed in cambio di determinati vantaggi sono fatte oggetto di scelta, ed il cui principio è interno a chi agisce, [5] per se stesse sono, sì, involontarie, ma, in quel determinato momento e per quei determinati vantaggi, sono volontarie. E assomigliano di più a quelle volontarie, poiché le azioni fanno parte delle cose particolari, e queste sono volontarie. D’altra parte, quali cose bisogna scegliere ed in cambio di quali altre non è facile stabilire, giacché nei casi particolari ci sono molte differenze. Se si dicesse che le cose piacevoli e le cose belle [10] sono costrittive (in quanto costringono dall’esterno), tutte le azioni sarebbero, da quel punto di vista, forzate, giacché è in vista del piacevole e del bello che tutti gli uomini fanno tutto quello che fanno. E quelli che agiscono per forza e contro voglia agiscono con sofferenza, mentre quelli che agiscono per il piacevole ed il bello lo fanno con piacere. D’altra parte, è ridicolo accusare le circostanze esterne e non se stessi se si è facile preda di cose di tale natura, e anzi considerare causa [15] delle belle azioni se stessi, delle brutte, invece, l’attrattiva dei piaceri. Dunque, sembra che l’atto forzato sia quello il cui principio è esterno, senza alcun concorso di colui che viene forzato.

2. [La scelta].

Definiti e il volontario e l’involontario, [5] si va avanti con la trattazione della scelta 58, giacché si ritiene che essa sia molto intimamente connessa con la virtù e che permetta di giudicare il carattere meglio che non le azioni. La scelta, dunque, è manifestamente qualcosa di volontario, ma non si identifica con esso, perché il volontario ha un’estensione maggiore: infatti, anche i bambini e gli altri animali hanno in comune con gli uomini la possibilità di agire volontariamente, ma non quella di scegliere, e degli atti repentini [10] diciamo che sono volontari, ma non che derivano da una scelta. Coloro che sostengono che la scelta è desiderio o impulsività o volontà o una specie di opinione, non sembra che parlino correttamente. Infatti, la scelta non è comune anche agli esseri irrazionali, mentre desiderio ed impulsività sì. E l’incontinente agisce perché appetisce, ma non perché sceglie; l’uomo continente, al contrario, agisce [15] per una scelta e non per desiderio. Inoltre, un desiderio può essere contrario ad una scelta, ma non ad un altro desiderio. E il desiderio ha per oggetto il piacevole ed il doloroso, mentre la scelta non ha per oggetto né il doloroso né il piacevole. Ancor meno è impulsività: infatti, le azioni compiute per impulsività, è ammesso comunemente, non derivano proprio per niente da una scelta. Ma, certo, non è neppure volontà, [20] benché le sia manifestamente affine. Infatti non ci può essere scelta dell’impossibile, e se uno dicesse che lo fa oggetto della propria scelta farebbe la figura dell’insensato. Invece c’è volontà anche dell’impossibile, per esempio dell’immortalità. Inoltre, la volontà riguarda anche quelle cose che non possono essere fatte dallo stesso che le vuole, per esempio che un certo attore o un certo atleta riescano vincitori; [25] invece nessuno sceglie simili cose, ma solo quelle che si pensa di poter fare personalmente.

Inoltre, la volontà ha come oggetto piuttosto il fine, la scelta, invece, i mezzi: per esempio, noi vogliamo star bene di salute e scegliamo i mezzi per star bene; vogliamo essere felici e diciamo appunto che lo vogliamo, ma è stonato dire che lo scegliamo. In generale, infatti, [30] sembra che la scelta riguardi solo le cose che dipendono da noi. Dunque, non può essere neppure un’opinione, poiché si ammette che l’opinione riguardi ogni specie di oggetto, quelli eterni ed impossibili non meno di quelli che dipendono da noi: ed essa si distingue secondo il falso ed il vero, non secondo il bene ed il male, mentre la scelta si distingue piuttosto secondo questi ultimi. Dunque, [1112a] nessuno, certo, può dire che si identifica con l’opinione in generale. Ma neppure con un certo tipo di opinione: infatti, è con lo scegliere il bene o il male che determiniamo la nostra qualità morale, e non con l’averne una certa opinione. E noi scegliamo di conseguire o di evitare qualcosa di bene o di male, mentre un’opinione l’abbiamo su che cos’è una cosa o a chi giova o in che modo: [5] non abbiamo certo l’opinione di conseguirla o di evitarla. E poi la scelta è lodata, per il fatto di avere l’oggetto che si deve piuttosto che per il fatto di essere retta, mentre l’opinione è lodata per l’essere conforme al vero. Inoltre, scegliamo le cose che noi sappiamo molto bene che sono buone, mentre abbiamo opinione su quelle che non conosciamo perfettamente. Comunemente, poi, si ritiene che non sono gli stessi a compiere le scelte migliori, ma che [10] alcuni hanno opinioni piuttosto buone, ma poi, per vizio, scelgono quello che non si deve. Che, poi, un’opinione preceda o segua la scelta non ha alcuna importanza. Non è questo, infatti, che stiamo esaminando, ma se la scelta si identifichi con un determinato tipo di opinione. Che cosa è, dunque, o che tipo di cosa è la scelta, dal momento che non è nessuna delle cose precedentemente dette? È manifestamente un che di volontario, ma non ogni volontario è possibile oggetto di scelta. [15] Ma non sarà forse quel volontario che è preceduto da una deliberazione? Infatti, la scelta è accompagnata da ragione, cioè da pensiero. Ed anche il nome sembra suggerire che è ciò che viene scelto prima di altre cose.

3. [La deliberazione].

Ma si delibera di tutto, cioè ogni cosa è un possibile oggetto di deliberazione, oppure di alcune cose non è possibile deliberazione? Senza dubbio bisogna dire che è oggetto di deliberazione [20] non ciò su cui delibererebbe uno stupido o un pazzo, ma ciò su cui delibererebbe un uomo che ha senno. Nessuno, certo, delibera sulle cose eterne, per esempio sul cosmo o sull’incommensurabilità della diagonale col lato del quadrato. Ma neppure su quelle che sono, sì, in movimento, ma sempre secondo le stesse modalità, sia per necessità, sia [25] per natura, o per qualche altra causa (per esempio sul rivolgimento e sul sorgere degli astri). Né su ciò che avviene ora in una maniera ora in un’altra, come siccità e piogge. Né su ciò che accade per caso, come il rinvenimento di un tesoro. Ma neppure su tutte le cose umane, come, per esempio, nessuno Spartano delibera sulla migliore forma di governo per gli Sciti. [30] Infatti, nessuna di queste cose può dipendere da noi. Invece deliberiamo sulle cose che dipendono da noi, cioè su quelle che possono essere compiute da noi: e queste sono tutto quello che resta. Infatti, si ammette che cause siano natura necessità e caso, e inoltre l’intelletto e tutto ciò che è causato dall’uomo. E i singoli uomini deliberano su ciò che può essere fatto da loro stessi. E per quanto riguarda [1112b] le scienze esatte e per sé sufficienti, non è possibile deliberazione: per esempio, per quanto riguarda le lettere dell’alfabeto (giacché non abbiamo dubbi su come vadano scritte). Ma su tutto quanto dipende da noi, ma non sempre allo stesso modo, su questo noi deliberiamo: per esempio, su questioni di medicina e di affari, [5] e tanto più sull’arte del pilota che non sulla ginnastica, quanto meno quella è precisa, ed inoltre in maniera simile su tutte le altre cose, e più sulle arti che non sulle scienze, giacché sulle prime siamo più incerti. La deliberazione ha luogo a proposito di quelle cose che per lo più si verificano in un certo modo, ma che non è chiaro come andranno a finire, cioè quelle in cui c’è indeterminatezza. [10] Per le cose importanti prendiamo dei consiglieri, perché non ci fidiamo di noi stessi, ritenendo di non essere all’altezza di conoscerle adeguatamente. Deliberiamo non sui fini, ma sui mezzi per raggiungerli. Infatti, un medico non delibera se debba guarire, né un oratore se debba persuadere, né un politico se debba stabilire un buon governo, né alcun altro delibera [15] sul fine. Ma, una volta posto il fine, esaminano in che modo e con quali mezzi questo potrà essere raggiunto: e quando il fine può manifestamente essere raggiunto con più mezzi, esaminano con quale sarà raggiunto nella maniera più facile e più bella; se invece il fine può essere raggiunto con un mezzo solo, esaminano in che modo potrà essere raggiunto con questo mezzo, e con quale altro mezzo si raggiungerà a sua volta il mezzo, finché non giungano alla causa prima, che, nell’ordine della scoperta, è l’ultima. [20]

Colui che delibera sembra che compia una ricerca ed una analisi nel modo suddetto, come per costruire una figura geometrica (ma è manifesto che non ogni ricerca è una deliberazione, per esempio quelle matematiche, mentre ogni deliberazione è una ricerca), è ciò che è ultimo nell’analisi è primo nella costruzione. E se ci si imbatte in qualcosa di impossibile, [25] ci si rinuncia: per esempio, se occorre denaro ed è impossibile procurarselo. Se, invece, la cosa si rivela possibile, ci si accinge ad agire. Possibili sono le cose che dipendono da noi, giacché quelle che dipendono dai nostri amici in certo qual modo dipendono da noi: il loro principio infatti è in noi. Oggetto della ricerca sono a volte gli strumenti a volte il loro uso: [30] similmente anche in tutti gli altri casi, talora si ricerca lo strumento, talora il modo di usarlo, talora il mezzo per ottenere tale strumento. Sembra, dunque, come si è detto, che l’uomo sia principio delle proprie azioni: la deliberazione riguarda ciò che può essere fatto da colui stesso che delibera, e le azioni hanno come fine qualcosa di diverso da loro stesse. Dunque 59, l’oggetto della deliberazione non può essere il fine bensì i mezzi. Né, certamente, possono esserlo i singoli dati di fatto [1113a], per esempio se questo è pane o se è stato cotto come si deve, poiché i singoli dati di fatto sono oggetto della sensazione.

Se, poi, si dovesse sempre deliberare, si andrebbe all’infinito. L’oggetto della deliberazione e quello della scelta sono la medesima cosa, tranne per il fatto che l’oggetto della scelta è già stato determinato: infatti, è ciò che è stato precedentemente 60 giudicato dalla deliberazione ciò che viene scelto. [5] Infatti, ciascuno smette di cercare come agirà quando ha ricondotto il principio dell’azione a se stesso, e, precisamente, a quella parte di sé che è dominante, giacché è questa che sceglie. E questo risulta chiaro anche dalle antiche costituzioni, quelle che rappresentò Omero: i re, infatti, facevano annunciare al popolo quello che essi avevano scelto. Poiché, dunque, [10] l’oggetto della scelta è una cosa che dipende da noi, desiderata in base ad una deliberazione, anche la scelta sarà un desiderio deliberato di cose che dipendono da noi: infatti, quando, in base ad una deliberazione, arriviamo ad un giudizio, proviamo un desiderio conforme alla deliberazione. Si consideri conclusa la trattazione schematica della scelta, della natura dei suoi oggetti e del fatto che riguarda i mezzi relativi ai fini.

[La volontà].

[15] Abbiamo già detto 61 che la volontà ha per oggetto il fine, ma alcuni pensano che esso sia il bene, altri ciò che appare bene. Ma a coloro che affermano che l’oggetto della volontà è il bene succede di dover affermare che non è oggetto di volontà ciò che vuole colui che non sceglie rettamente (se infatti fosse oggetto di volontà sarebbe anche un bene; ma nel caso ipotizzato era un male). D’altra parte, [20] a coloro che affermano che oggetto di volontà è ciò che appare bene succede di dover affermare che non c’è un oggetto di volontà per natura, ma che lo è ciò che sembra bene a ciascuno: ad uno sembra una cosa, ad un altro un’altra, e, se fosse così, oggetto della volontà sarebbero le cose contrarie.

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